OUVERTURE
Il paziente papavero ti contempla beffardo
Come una divina puttana conosce a fondo il tuo desiderio
Il suo baluginare è come brillìo di umori in una calda notte
La volontà, spezzata, dispera
Come vorrei essere un eunuco.
- Cap. 1
- Il Solito Ambaradàn
Le cose che aveva in tasca cominciarono a dargli fastidio.
Era notevolmente contrariato da quello che l’evoluzione delle tecnologie informatiche inerenti all'identificazione personale lo costringeva a commettere.
Era tutto molto più semplice, pensò, quando esistevano i normali Bancomat. All'epoca, era assai improbabile che la situazione degenerasse tanto da forzarlo ad utilizzare la violenza, dato che per sottrarre un Bancomat ad una persona non doveva per forza rapinarla.
In realtà, a preoccuparlo non era l'eventualità dell’utilizzo della violenza in sé, dal momento che aveva abbracciato la filosofia dell'Übermensch e, per conseguenza, cercava di considerare gli altri individui null'altro che un tramite per realizzare i propri fini.
A preoccuparlo, in particolare, erano le tracce di materia organica che inevitabilmente avrebbe lasciato dietro di sé.
Doveva essere più che mai attento.
“Il Superuomo nietzschiano”, considerò cercando di ignorare il gonfiore della sua tasca destra, “è strano costatare come la maggior parte della gente pensi che abbracciarne la filosofia voglia dire diventare delle specie di nazisti”.
Il nazismo, per quanto lo riguardava, non c’entrava nulla.
A ben guardare, si rese conto che, anche se i nazisti se ne erano “appropriati”, in assoluto, una filosofia tale sarebbe dovuta essere agli antipodi delle loro concezioni.
Ma, lo sapeva, certe bestialità vivevano di sé stesse, senza reale bisogno di giustificazioni o supporti ideologici.
La forza politica che era attualmente al governo ne era un perfetto esempio.
“Abbracciarne la filosofia...” pensò di nuovo: quantomeno, ci aveva provato.
Vivere l’attimo per l’attimo, esaltando il piacere dell’istante senza far troppo male al proprio stesso essere e più del dovuto agli altri, era arduo come poco al mondo per una persona come lui.
Almeno così gli piaceva pensare.
In realtà, infatti, non era mai riuscito ad arrivare alla dedizione assoluta verso alcunché.
Il rendersene conto gli fece stringere lo stomaco in un nodulo di greve angoscia.
“Vivere l’attimo per l’attimo senza fare male più del dovuto agli altri?”, pensò con poca convinzione, e quasi si abbandonò ad uno scoppio di risa che, se fosse cominciato, sarebbe stato di certo isterico.
C’era qualcosa che in quel ragionamento che non tornava.
Il numero delle sue vittime, anzitutto.
La maniera in cui le eliminava, secondariamente.
-“Secondo me, ci hai semplicemente preso gusto, tutto lì”, disse ad alta voce, e, tempo di elaborarla, l’asserzione appena fatta lo colpì come un treno in corsa.
Era strano come certi pensieri facessero male solo quando venivano elaborati finitamente. Se li si lasciava in pace a giacere come giganti addormentati nell'inconscio era come se non esistessero; se li si formulava in modo compiuto, diventavano, all'improvviso, dei mostri distruttori.
Il vagone in cui stava viaggiando era discretamente ingombro, ma i suoi compagni di viaggio lo ignorarono del tutto.
Più volte gli era capitato di pensare alla sua come ad una morale prostituta, ed era proprio in occasioni come quella in cui si trovava in quel momento che si rendeva conto di quanto quella definizione si attagliasse al suo modus vivendi.
Per quanto non se ne fosse capacitato subito, il pensiero lo aveva colpito con tanta violenza che aveva visto il suo riflesso sussultare.
Ragionò che l’assenza di reazione da parte dei suoi estemporanei dirimpettai doveva essere frutto di una scelta deliberata: fosse stato al loro posto, avrebbe fatto lo stesso.
Non si poteva mai dire, coi tempi che correvano, quali pazzi si potessero incontrare in giro.
Ma non era solo quello, il punto.
Se almeno le sue vittime se ne fossero state buone e ferme...
Invece le cose tendevano sempre a degenerare, neanche se una divinità maligna avesse deciso di trasformare i suoi atti omicidi nell'opera di un demente.
Quello che più odiava era il caos che si mettevano a fare.
-“Pezzi di merda”, aggiunse, sempre ad alta voce, “dovreste fare la vostra parte con più arrendevolezza”.
Si guardò le ferite alle mani e cercò di ricordarsi come se le era procurate, ma non ci riuscì.
E qual era, poi, la loro parte?
Quelli degli agnelli sacrificali?
Poteva darsi, ma a quanto la sua mente rammentava, dei caproni sacrificali avrebbero fatto meno danno.
Capiva che in qualche modo il fenomeno delle ferite fosse legato al suo attuale flusso di pensiero, ma proprio non gli riuscì di ricordare come.
Ricordò confusamente che una volta era addirittura stato costretto, per fare tacere una puttana di strada, ad iniettarle, con la sua siringa personale a ricerca automatica delle vene, metà della propria dose quotidiana di sintoeroina.
O s’era trattato di un uomo? Di un ragazzo di vita che batteva a Porta Nuova?
Non riusciva a focalizzare.
Malgrado quel ricordo, come altri ad esso analoghi, faticasse ad affiorare con precisione, pensò che dovesse esserne di certo valso il sacrificio.
Mezza grammata di sintosbomballina avrebbe schienato un qualsiasi individuo sano senza possibilità di recupero (l’individuo avrebbe, nell’ordine: sbavato, tremato, vomitato, gli si sarebbe rilasciato lo sfintère e infine sarebbe caduto in coma). Purtroppo però, l’episodio della siringa s’era verificato in uno di quei giorni in cui s’era scoperto, per frustrazione, a perpetrare il male per il male: forse, pensò, era stato quello il motivo che l’aveva spinto ad abbondare con ferocia.
O, forse, il fatto era, come stava rendendosi conto in quel momento, che ci aveva davvero preso gusto.
Bastava pensare a quanto era successo con il Signor Capaldi (aveva fatto a, forse era meglio dire) . Il rammentare Mattia Capaldi gli fece ricordare che: gli eventi in questione (che, almeno su quello ci avrebbe giurato, gli erano costati le ferite alle mani), non erano affatto così lontani nel tempo come in un primo momento aveva pensato; la volta in cui aveva dovuto usare la sua dose personale era stata proprio con lui.
Né battone né ragazzi di vita, ma un professionista di 43 anni tanto bello quanto inutilmente perso.
Incredibilmente, almeno fino a quel momento, aveva rimosso l’evento.
Il rendersene conto gli provocò un’afflizione pesante come un macigno.
Si sentì uno squilibrato. Uno squilibrato senza più alcun freno, a dirla tutta. Un matto, un flippato, un border-line quasi sempre oltre confine, un ciarlatano dell'omicidio, un uomo-bambino scervellato, un essere immaturo, incompleto e, occorreva ammetterlo, una persona malvagia.
“No! Io non sono un maniaco del cazzo che gode delle sofferenze altrui”, pensò solo questa volta, timoroso che l’enunciazione ad alta voce di un qualsiasi altro suo pensiero sarebbe stata come una ammissione pubblica di colpa.
Flashback osceni cominciarono ad affastellarglisi davanti agli occhi.
Possibile che fosse arrivato a quel punto?
A fargli quelle cose?
Vide il suo riflesso e quasi rise: aveva assunto un espressione tanto costernata da essere ridicola.
No, forse non era successo niente di quanto gli stava rimbalzando in mente, o, forse, era solo accaduto in parte, in momenti distinti e con più persone: era la droga che aveva alterato e stava alterando i suoi ricordi, confondendoli e mescolando oscenamente le carte.
Doveva essere per forza così.
Meglio pensare a quel che l’aspettava.
Meglio pensare a cosa lo aspettava.
E, ad aspettarlo, pensò, c’era una gigantesca, colossale, sfarzosa e obliante dose di sintoeroina.
L’oblio...
L’oblio, pensava, era un bene preziosissimo e sottovalutato. Per dirla tutta, ingiustamente bistrattato.
Il solo pensiero della dose che avrebbe acquistato di lì a poco lo fece deglutire con ansia.
La sintoeroina aveva a che fare solo idealmente con il papaver somniferum album, poiché il principio attivo dell’eroina, la diacetilmorfina, era stato riprodotto per sintesi di laboratorio e potenziato. L’esito era stato una sostanza due volte potente la deidro-ossi-eroina, o, per dirla in altro modo, una sostanza dieci volte più potente la sostanza originaria da cui era stata copiata.
Per rendersi conto della dimensione del fenomeno, pensò, bastava ricordare che le sensazioni d’euforia e pace, la perdita del senso della realtà, la capacità di produrre piacevoli visioni erano state tanto amplificate che l’uso di sintoeroina era stato posto tra i fondamenti di una nuova religione.
Non che fosse quello il suo caso; anzi, per quel che lo riguardava, considerava pressoché dei derelitti schifosi junkies i monaci della Comunione Cosmica.
Rammentò di come gli fosse capitato una volta, mentre contemplava un quadro del XX° secolo sotto l’effetto della sinto, l’“Esperimento barocco” di Jeffrey Steele, di sentircisi cadere dentro. Fu una delle più brutte esperienze della sua vita. Durante la caduta, che si dovette protrarre per non più di due secondi di tempo reale normale, ebbe l’impressione di precipitare nell'infinito. Era pur vero che l’Optical Art avesse quale scopo quello di creare delle illusioni ottiche e che lui fosse a conoscenza della psicologia della Gestalt e dei suoi fini; tuttavia, la sensazione d’annientamento che percepì prima di sfondare col cranio il vetro pressurizzato della cornice che proteggeva il quadro l’avrebbe segnato per tutta la vita. Tutto quanto aveva letto sulla “Psicologia della Forma” andò istantaneamente in fumo: non vide sfondi mutarsi in primi piani, non vide emergere false prospettive, non vide verificarsi nel quadro movimenti illusori, non vide l’ambiguità delle immagini, così come gli astrattisti dell’Op Art volevano evidenziarla. Ebbe l’incontrovertibile e precisa sensazione di cadervi dentro; ricordava di avere temuto che, se ciò fosse avvenuto, sarebbe rimasto all'interno di quella trappola mentale per l’eternità. Diversamente dai suoi timori, l'esplosione conseguente alla craniata sul vetro a tenuta stagna lo riconsegnò invece alla lucidità. Un vetro sottilissimo a creare il vuoto: bisognava ammetterlo, era come se non fosse nemmeno lì (evidentemente nessuno aveva pensato a furti o a rotture accidentali, meno che mai a craniate accidentali), e, se non fosse stato per le schegge che gli si erano confitte per lo più sul suo torace e in misura minima in fronte, avrebbe detto che non era nemmeno mai esistito.
L’incazzatura del proprietario, fu, letteralmente, memorabile; la sua, ancor di più: per farlo smettere di sbraitare, fu costretto prima a dargli una testata e poi a spaccargli il vetro di un Picasso. Lì si fermò. Amava l’arte, e, per quanto fosse quasi impazzito per lo spavento e per il dolore e sapesse che quei dipinti erano stati procurati ben più che illecitamente, non glieli avrebbe mai distrutti. Erano dei dipinti originali, non delle volgari copie, e, incazzato o meno, non avrebbe mai potuto danneggiarglieli consapevolmente. Il vetro, però, gliel’aveva sfondato, eccome. Forse a cesellare la serata c'era stato lui che aveva pure preso a calci la donna del proprietario del quadro, ma di questo non era sicuro. Di nuovo, i contorni dei ricordi sfocavano nell'ipnagocico, e cosa fosse accaduto davvero era impossibile distinguere.
Questo, pensò, riguardava la questione dei “vantaggi” della sintoeroina.
A ben guardare, disperatamente miseri e squallidi.
Quanto agli “svantaggi”, beh, quello era un altro paio di maniche. La sindrome astinenziale da ero di sintesi era dieci volte più potente della carenza da fresh eroin, o real eroin, come avevano preso a chiamarla...
-“Non è tutto oro ciò che luccica”, disse ad alta voce e, questa volta, una coppietta lo guardò come se fosse pazzo, e, pensò, forse lo era davvero.
Li ignorò: non aveva voglia di fare del male a nessuno.
Non in quel momento, almeno.
La nuova linea della metropolitana lo stava conducendo verso Mirafiori, una zona oramai tanto degradata che si sarebbe potuto masturbare allegramente in mezzo alla strada e nessuno gli avrebbe detto o fatto nulla.
Non che fosse quello il suo scopo; anzi, se avesse trovato qualche pervertito porco-maiale a toccarsi in mezzo alla strada - sport assai diffuso, a leggere gli olo-giornali di quel periodo - l’avrebbe di certo menomato (e in via definitiva).
La sua etica meretrice l’aveva spinto, fra le altre cose, a considerarsi un esteta, e, se voleva sentirsi in parte, doveva aborrire la volgarità.
La questione fondamentale era però un’altra: in quella maledetta zona sarebbe stato al riparo da occhi indiscreti.
Chissà come mai, il suo cervello indulse su quell'ultimo pensiero per la durata di diverse eco.
Il viaggio dai Giardini Reali durò un'eternità, e, assieme, pochissimo e, come aveva previsto, alla fermata "Mirafiori 2" scese soltanto lui.
Sebbene lo sportello della Banca Nazionale Europea fosse più vicino di quanto ricordasse, l’astinenza stava cominciando a farsi sentire di brutto e, quindi, si mise a correre a piccolo trotto per raggiungerlo (“ôp-ôp- ôp- ôp- ôp”, pensò).
Gli tornò alla mente che gli era stato detto che la carenza da sintoeroina fosse un delirio totale, ingovernabile e distruttiva; nondimeno, il craving che lo spingeva era anche fortemente psicologico. Da fonte ufficiosa, in altre parole da un suo amico laureando in medicina, aveva sentito dire che coloro che avevano riprodotto la diacetilmorfina erano stati in grado di amplificarne esponenzialmente anche gli effetti collaterali (ovvero assuefazione e sindrome astinenziale) e la consapevolezza che ne era derivata, anche se non era mai stato senza sintoeroina per più d’otto, massimo dieci ore di seguito, diveniva fonte di panico tutte le volte che la rota cominciava a farsi sentire. A render più cupe le sue paure c’era quel che aveva sentito dire in piazza circa gli effetti dell’astinenza da sintoeroina. Le voci in materia ormai sfioravano i contorni della leggenda urbana: si mormorava di persone che, nell’arco di settantadue ore, si erano totalmente disidratate a forza di scagazzare, neanche fossero state afflitte da colera, di altre che, a forza di vomitare, si erano sputate le interiora, e di altre ancora che si erano procurate delle contratture per la violenza delle convulsioni subìte.
Ma la voce più terribile in assoluto, e, della quale, di fatto, vi erano state pochissime possibilità di conferma diretta, dato che la sintoeroina era apparsa sul mercato nell’estate del 2049, e cioè solo un anno prima, era che la probabilità stessa di sopravvivere ad un’astinenza fatta scoppiare a secco si aggirasse attorno allo zero assoluto.
Un’astinenza senza oppiacei e senza nemmeno il supporto di farmaci sintomatici! “Ah”, pensò, “quanto di più masochista e inutile uno degli appartenenti al sinto-sindacato si possa infliggere!”.
Quella definizione, che altre volte gli era parsa divertente, lo infastidì non poco, e il fastidio andò ad sommarsi agli altri che già provava di suo.
Altri lampi di memoria cercarono di riemergere, ma lui fu quanto mai lesto a reprimerli.
D’altra parte, pensò, la voce secondo la quale di astinenza a secco da sinto ci si potesse crepare non era suffragata da statistica ufficiale alcuna.
A ben vedere, a parlare rimanevano i fatti di pertinenza della sua vita, e quelli erano più che bastanti a creare in lui una cogente ed ingovernabile forma di panico.
In primo luogo, rifletté, le autorità non avevano nessun interesse a dimostrare la loro totale incapacità di gestire la questione, sia perché ciò avrebbe contrastato con la politica anti-droga governativa sia perché, si diceva con un'anomala insistenza, erano coinvolte nella stessa immissione della sintoeroina sul mercato; in secondo luogo, l’ex-Ministro della Sanità, nonché attuale Presidente del Consiglio, Cesare Roberti, dirigeva la Salutis Farmaceutici, ditta produttrice del surrogato della sintoeroina, utilizzato a scopo medico durante la terapia di disintossicazione (il che, ragionò, considerando che in Italia viveva il più alto numero di consumatori di oppio, derivati e imitazioni di laboratorio d’Europa, doveva essersi era tradotto in un aumento vertiginoso del fatturato del settore farmaceutico tutto e della Salutis in particolare). Se c’era dunque qualcuno che poteva avere interesse a negare - di più, a sopprimere - la realtà dei fatti, quella era proprio la Salutis.
Il passaggio dai derivati dell’oppio alla sua imitazione di laboratorio era stato, di fatto, una tappa ovvia, obbligata e felice per la maggior parte dei consumatori dei primi e, come che la si guardasse, c’era stato qualcosa di oggettivamente abnorme nella rapidità con la quale la Salutis aveva annunciato la sintesi di un surrogato analogo al metadone - ma molto più potente - per risposta alla denuncia dei mass media de “La nuova piaga del secolo”.
Mass media che, naturalmente, nel 50% circa delle pubblicazioni quotidiane e del 70% circa delle emittenti olografiche, afferivano all'holding che possedeva la stessa Salutis Farmaceutici.
La tossicodipendenza da sintoeroina era, in effetti, quanto a vittime e danni sociali, un fenomeno recente ma privo di precedenti.
Il che doveva significare, ragionò ancora, o che i ricercatori di tale azienda erano dei geni o che, assai più verosimilmente, male e rimedio avevano la stessa fonte.
Ricordava il litigio che aveva avuto in proposito con Arnolfo, suo (psicopatico) amico, il quale, durante una discussione in proposito, gli aveva dato della testa di cazzo complottista, con questo volendo intendere che credere ad un eventuale coinvolgimento di Roberti nell’immissione della sintoeroina volesse dire prendere per buona della dietrologia spiccia.
A creargli dei seri dubbi, tuttavia, era il fatto che la terapia di disintossicazione avesse un costo inaccessibile ai più, poiché il Servizio Sanitario Nazionale si era dovuto drasticamente ridimensionare a causa di un secolo di inefficienze (e, che, guarda caso , dietro il Servizio Sanitario Nazionale, ci fosse ancora la Salutis).
Era stato così che, dalla tendenza di fornire assistenza medica anche agli indigenti, invalsa fino a vent’anni prima, si era passati ad uno stato in cui le cure che si potevano ricevere dipendevano dalla propria situazione economica. E, per quanto riguardava l’ambito delle cure di disintossicazione, i costi erano elevatissimi ed addossati totalmente alla persona del paziente (per contro, i guadagni, ne era quasi certo, finivano quasi tutti nelle tasche della dirigenza della Salutis).
Ormai era di fronte al Securmat.
Accese il distorsore d’immagini che aveva in tasca, le cui interferenze, sperava, sarebbero state scambiate con quelle prodotte da un cellulare interplanetario, inserì il passe-partout elettronico nella fessura nella quale andavano introdotti i badge apri-porta e fu dentro. Il ronzìo sommesso del distorsore magnetico gli fece pensare quanto potesse essere deleterio utilizzare un radiomobile che fosse in grado di comunicare con le colonie lunari e con gli “avamposti” marziani, eppure v’erano persone che ne avevano fatto uno status symbol. Non c’era nulla di più à la page che potere dimostrare di avere degli amici sulla Luna o sulle abortite colonie marziane, le quali erano state trasformate dai mezzi di comunicazione di massa da colonie in avamposti quando ci si era resi conto che l’operazione di terra-forming sarebbe stata irrealizzabile per i due o tre secoli a venire, anziché il secolo dichiarato e sbandierato al mondo come "target assolutamente praticabile".
Al contrario di quanto dichiarato dall’ente spaziale dei Nuovi Stati Uniti d’America, infatti, la costruzione dei convertitori atmosferici (i quali sarebbero dovuti essere in grado di disciogliere il permafrost marziano e trasformarlo in aria respirabile), avrebbe richiesto risorse assai più ingenti e tempi assai più lunghi di quanto previsto.
L’asprezza del confronto politico con l’Unione Nazionale Europea e la sempre più marcata tendenza delle autorità a manipolare l’opinione pubblica avevano, eppure, mutato una totale assenza di lungimiranza in un parziale successo.
All’interno dello sportello l’odore d’orina era così intenso che fece fatica a non vomitare; ciò malgrado, la prospettiva del calo lo stava tanto elettrizzando che riuscì a dimenticarsi del fatto che percepire odore di piscio volesse dire avere su per il naso molecole di piscio. Per non considerare il fatto che, per lui, mettersi a sboccare era assai pericoloso, perché le poche volte che gli era capitato di lasciarsi andare alla nausea e al vomito aveva poi avuto bisogno di quantità industriali d’antiemetico per ritornare in sé. Si chiese quale testa bacata avesse potuto pisciare là dentro, dato che il cliente era identificato sin dall'introduzione del badge apri-porta e l’operazione veniva registrata da una telecamera.
Appena ebbe superato il sensore di movimento che avvertiva il terminale della sua presenza all'interno dello sportello, gli apparve davanti il simulacro olografico di un impiegato.
Gli ci vollero un paio di secondi per capire che il volto dell’olo-impiegato non appariva deforme: era effettivamente deforme.
Costatò che le alternative dovevano essere due: o gli olo-proiettori erano stati danneggiati, o il software Mheadrom andava re-installato. Sembrava di avere davanti il volto di un cazzo di alieno, così almeno come venivano rappresentati nell’iconografia popolare del secolo precedente. “Delle due l’una... O magari no... Con ‘ste cazzo di I.A. deboli non si può mai sapere...”, pensò, e quasi si mise a ridere.
“Magari Mheadrom ha deciso didimenticarsi del fatto che il viso umano debba presentare una certa simmetria”, aggiunse mentalmente a sé stesso e si morse le labbra per evitare di ridere.
Ma non poteva ridere, proprio no: se l’I.A. avesse rilevato un’incongruenza tra la sua impronta vocale e l’impronta vocale registrata, depositata come uno specimen assieme alla mappa retinica dal cliente, sarebbe stato bello e fottuto. L'interferenza prodotta dal distorsore lo avrebbe reso irriconoscibile, e da tre mesi sapeva che le banche ancora non avevano ovviato al problema dei cellulari Interplan, ma l'incongruenza tra la sua voce reale e la voce che aveva registrato sarebbe stata notata subito. Dato che all’interno dello sportello non si poteva entrare in due (come una strana vetrofania stilizzata che riproduceva due omini a braccetto con una barra trasversale che li imbrigliava avrebbe dovuto ricordare), non solo non lo avrebbero fatto prelevare, facilmente lo avrebbero chiuso là dentro in attesa della polizia, e, a finir prelevato, sarebbe stato lui.
Meglio evitare.
La parte destra del viso del simulacro sporgeva di una manciata così abbondante di centimetri da formargli all'altezza della fronte un bubbone che pareva prossimo ad esplodere. Il papillon proiettatogli al collo, unitamente agli occhiali in montatura di tartaruga, contribuivano a dargli un aspetto del tutto surreale.
-“Buona Sera-era-era, gentile Cli-cli-cliente, che tipo di operazione desidera effettuare-are-are?”, esordì il simu-impiegato, contraendo il volto in uno spasmo ad ogni reiterazione.
In effetti, pareva che soffrisse, e molto. I.A. deboli. Erano definite così in contrapposizione alle I.A. Forti, ma non perché fossero difettive; non erano in grado di funzionare come menti autonome. Un I.A. debole aveva le capacità di un insetto pensante, il che non era poco, ma ai fatti non era nemmeno molto.
Superato lo choc dovuto al fatto che l’olo-impiegato oltre a parere un povero deforme balbettava, se il nostro non fosse stato cinico com'era avrebbe provato pena. In linea con la sua forma mentis non provò un cazzo. Una sola cosa importava: spakkarsi al più presto, alla minore cifra possibile.
Il distorsore magnetico che aveva in tasca avrebbe dovuto disturbare la registrazione della telecamera, per cui non fece nulla per nascondersi. Poiché il nuovo sistema d'identificazione si basava sull'impronta vocale e sulla mappa retinica del cliente, fece partire senza pudore l'audioregistratore digitale sul quale aveva registrato la voce della sua ultima vittima.
-“Desidererei prelevare, grazie”, disse la voce registrata.
Non accadde nulla: il distorsore stava funzionando.
Quasi emise un sospiro di sollievo; dovette distrarsi pensando a come si era procurato quel che gli serviva.
Chissà cosa pensavano, si chiese, le sue vittime, in quei momenti?
In particolare, quello che coloro che finivano nelle sue malate maglie si potevano forse chiedere era a che cosa, da sole, potessero servire le loro voci registrate, poiché la mappa di identificazione retinica era irriproducibile artificialmente.
-“Dovrebbe specificare l’importo-orto-orto, grazie-azie-azie”, rispose il simulacro, e la deformità della parte destra del suo volto si accentuò ad ogni eco. Di nuovo quasi cedette al riso, pensando che forse il simulacro sarebbe esploso come una bolla.
Forse, pensò, le sue vittime non riuscivano a comprendere nemmeno quello cui potessero servire quei due cucchiai che, dopo avere più o meno diligentemente ripetuto ciò che veniva loro ordinato di dire affinché fossero registrati, erano mostrati loro.
-“Vorrei prelevare tremila e cinquecento Euri, per favore”, fece dire al recorder.
Molte, tra le sue vittime, gli avevano fatto notare che il plurale di Euro fosse Euro e lui, con la pazienza di chi parla ad un mentecatto, quasi sempre rispondeva: “L’Accademia della Crusca, il secolo scorso, propose che, per la struttura della lingua italiana, il plurale di Euro avrebbe dovuto essere Euri, quindi taci o ti farò molto più male di quanto non te ne debba lo stesso fare”.
Sapeva che il suo era uno sproposito da pazzi farneticanti, puntigliosi e paranoici, ma quella frase dava una teatralità alle azioni risolutive dei suo omicidi che, di regola, lo faceva inturgidire. In ogni modo, era proprio dopo quell'asserzione, che, assai adirato aveva ripetuto a quasi tutte le sue vittime, che capivano a quale scopo potessero servire i cucchiai che aveva in mano.
Si soffermò sulla questione e di nuovo, come sempre più spesso in quei giorni, si trovò a ragionare sul Male (con la "M" maiuscola), ma fu richiamato alla realtà dall’olo-impiegato.
-“Per favore, appoggi il mento sull'apposito supporto e tenga bene aperti gli occhi, grazie”, disse l'impiegato olografico della Banca d’Europa, smettendo, per fortuna, di balbettare e contrarre il volto. Il gonfiore di metà viso però rimase, come se l'I.A. che ne gestiva aspetto estetico, voce e gestualità proprio non ce la facesse.
Estrasse le due cose che teneva in tasca, che per lui avevano cessato d’essere occhi nel momento in cui li aveva recisi dal nervo ottico della sua vittima e cercò di posizionarle in maniera tale che i fasci di luce uscenti dalle fotocellule colpissero perfettamente la retina.
Plop, fecero colpendo i supporti per la fronte su cui l’utente si sarebbe dovuto appoggiare (nel frattempo, la copertura del supporto per il mento era stata sostituita da un dispositivo automatico).
(Occhio non vede, cuore non duole)
-“Sono pronto al riconoscimento retinico”, fece dire al recorder, finito che ebbe di armeggiare con le cose che aveva in mano. Due fasci di luce rettilinei partirono da dietro il simulacro, colpendole alla perfezione.
-“Bene Signor Capaldi, il riconoscimento è stato effettuato; la ringraziamo per essersi rivolta ai nostri sportelli. Arrivederci e gra-gra-gra-gra-gra-zie”, concluse con un tono a metà tra il servile ed il compresso l’I.A.
Aveva ceduto nuovamente, e sembrava che si rendesse conto di stare balbettando e cercasse senza costrutto di contenersi.
Come che fosse, non aveva più importanza.
-“Grazie a voi”, rispose la voce registrata.
“Perfetta gestione dei tempi”, pensò Asmodeo compiaciuto.
Prelevò il contante ed uscì.
Guardò il denaro che aveva in mano, e questo idealmente si trasformò in due-tre grammate di sintoeroina. Incredibile quanto fosse buona. Incredibile quanto fosse cara.
Peccato, pensò, che con quanto aveva prelevato la disponibilità mensile del fu Mattia Capaldi fosse finita.
Appena allontanatosi dal terminale Securmat pensò a quanto complicato fosse l’occhio.
Si ricordava d’aver letto che, essendo questo uno degli organi più complessi del corpo umano, composto da miriadi di cellule disposte su più strati, connesse con le fibre del nervo ottico, era anche uno dei più difficili da riprodurre.
Le protesi bioniche che sostituivano gli occhi erano, problemi di rigetto a parte, in grado di riprodurne la funzionalità ma non le caratteristiche esteriori.
Per sua fortuna, chiunque avesse progettato i nuovi sistemi d’identificazione non aveva tenuto conto della sensibilità di talune di queste cellule alle variazioni di luce. Nondimeno, al contrario a quanto temette la prima volta che utilizzò questo particolare metodo di praticare il ladrocinio, l’assenza di contrazioni dell’iride negli occhi non faceva scattare alcun meccanismo d’allarme. A quanto pareva, era sufficiente che l’iride fosse abbastanza dilatata, in modo tale da permettere al fascio di luce prodotto dalla fotocellula di illuminare, e quindi riconoscere, la mappa retinica.
Le sue vittime, cercava di dirsi con convinzione, dovevano ringraziare quella terribile artefice che era Madre Natura se aveva dovuto adottare quel particolare modus operandi.
S’allontanò quindi di qualche centinaio di metri, gettò a terra le cose che aveva appena utilizzato (Plop, ancora, fecero) e, com'era solito fare, le schiacciò con i suoi lucidissimi anfibi Dr Martens. Il rumore che fecero schiantandosi fu uno schiocco tanto liquido e disgustoso che per poco non vomitò. Quella era una delle cose cui proprio non riusciva ad abituarsi. Cercò il suo centro (come dice la filosofia Zen), lo trovò e cosparse le cose di benzina da Zippo. Dopodiché, tiro fuori un contenitore metallico, lo aprì e ne rovesciò la polvere da sparo contenuta, avendo cura di spargerla uniformemente.
Tirò fuori il fedele Zippo, lo strofinò sugli anfibi e diede fuoco a tutto.
Procurarsi la polvere da sparo non era stato per nulla facile, perché aveva dovuto, con estrema fatica, aprire i bossoli di un Remington a pompa (arma tanto bella ed elegante quanto letale, ma che non aveva mai usato, perché di certo troppo rumorosa).
L’idea della polvere da sparo gli era venuta per caso mentre stava intaccando dei proiettili, incidendo la linea longitudinale sull’ogiva che li avrebbe trasformati in Dum-Dum.
Sapeva che l’iniziativa di farsi dei proiettili Hollow Point, che avevano la capacità di espandersi all'impatto grazie ad un interessante fenomeno fisico (i tessuti molli che penetravano nel taglio longitudinale producevano una forte spinta idrodinamica all'interno del proiettile, che si ri-direzionava in modo simmetrico verso l'esterno, provocando un allargamento a fiore della sua stessa punta), fosse un'idea da psicotico alla Taxi Driver II, ma non era riuscito ad esimersi dal realizzarla.
Non che dall’inizio della propria carriera non si fosse tecnicamente migliorato...
Soprattutto, ai rozzi cucchiai da cucina che inizialmente usava aveva da pochissimo sostituito uno strumento da lui stesso disegnato.
La creazione dello strumento in questione non gli era neppure costata un granché: grazie alla ormai consolidata tecnologia delle stampanti tridimensionali, era sufficiente, per forgiare un qualsiasi oggetto a tre dimensioni, rispettare le limitazioni imposte dalla geometria euclidea e dalla meccanica. Il prototipo dell’oggetto, impresso su fogli di materia plastica termoindurente, poteva poi essere trasformato da appositi laboratori in qualsiasi materiale si potesse desiderare. Nella fattispecie, si trattava di un piccolo bastone metallico che terminava in un apparato tentacolare, il quale si apriva e chiudeva facendo scorrere un manicotto di gomma, che ne rivestiva la parte inferiore. I tentacoli non erano taglienti, ma molto sottili, dato che dovevano introdursi sotto le palpebre inferiori e superiori senza danneggiare né la sclerotica né, soprattutto, l’iride. L’operazione di recisione del nervo ottico veniva di regola portata a termine con delle normali forbici, che, dopo vari sciagurati tentativi, si erano rivelate lo strumento più adatto.
Frattanto, i prodromi dell’astinenza si fecero più insistenti e dolorosi.
Starnutì, e i movimenti sconnessi che seguirono allo starnuto e che avrebbero dovuto costituire una crisi di brividi gli dettero l’impressione d’essere un pupazzo disarticolato.
Il semplice camminare gli richiedeva un notevole sforzo di concentrazione; temeva che se non si fosse impegnato a darsi una mossa avrebbe sicuramente perso la metropolitana.
Dovette incentivarsi pensando all'ottima qualità della sinto di Reda, suo pusher di fiducia.
Non che si ritenesse suo amico, eppure, Reda era l’unico pusher che avesse conosciuto degno di rispetto. Lo meravigliava che parlasse del genere femminile con deferenza, non facesse mai pressioni per farsi restituire i soldi della sostanza data a credito, vestisse con eleganza e fosse addirittura costantemente profumato. Quanto a odori, pensare a Reda gli fece tornare alla mente quella volta in cui ebbe a che fare con un pusher talmente lurido che puzzava d’immondizia; non lo incontrò mai più, ma se lo sarebbe ricordato per sempre come “ ‘Monnezza”. Il puzzone biascicava frasi inerenti alla liturgia della Comunione Cosmica, ma Asmodeo aveva intuito con certezza che l’esistenza di ‘Monnezza somigliasse al cerimoniale dei sintoeroinomani così come un buco di culo somigliava ad un bocciolo di rosa.
La metropolitana arrivò puntualissima.
Il rendez-vous avrebbe avuto luogo in Piazza Statuto, lo scambio avrebbe richiesto pochi minuti, il ritorno a casa avrebbe richiesto un altro quarto d’ora.
Se tutto fosse andato liscio, entro un’ora sarebbe stato come un’altra persona.
Durante il viaggio telefonò a Reda per dargli conferma dell’appuntamento preso, in parte per via della paranoia di cui soffrivano tutti i tossici quando andavano ad un gancio, in parte perché questo e gli orologi non andavano per nulla d’accordo.
Giusto per non smentirsi, Reda gli disse che si sarebbero dovuti incontrare a mezzanotte invece che, come prima pattuito, alle undici e trenta. Troncò la comunicazione senza salutarlo, poiché l’effetto delle endorfine che gli erano entrate in circolo grazie alla consapevolezza di stare per farsi furono soppiantate, per via del panico che lo colse, da fiumi d’adrenalina. In effetti, la chimica del suo cervello ormai se ne era andata talmente affanculo che il suo sistema endocrino produceva, e ormai da anni, più endorfine prima di farsi che dopo un orgasmo. Similmente, ed in modo assai triste, la quantità d’adrenalina che gli fluiva nel sangue se gli si prospettava l’eventualità di un’astinenza non aveva pari con nessun’altra esperienza di panico che gli fosse capitato di vivere.
Arrivato a destinazione, gli toccò aspettare ancor più del dovuto: Reda giunse, infatti, a mezzanotte e mezza.
Malgrado il ritardo, seppe farsi perdonare, poiché per tremila e cinquecento Euri gli dette tre grammoni e mezzo.
Si rese conto che, di fatto, aveva trascorso l’ultima mezz’ora starnutendo, tremando, e ogni tanto dormicchiando, quasi senza elaborare un pensiero consapevole che fosse uno.
Si congedò da Reda non appena la transazione fu conclusa, poiché era ormai in piena e non aveva voglia alcuna di darsi al cazzeggio di rito pusher-acquirente.
Starnutì ancora, si trovò di nuovo davanti agli occhi immagini non solo oscene, ma assurde e senza logica (la gravità aveva le sue regole, no?), ebbe un conàto di vomito ma il suo corpo si rifiutò di emettere nulla altro che non fosse della bava verdastra.
Non ostante ciò, riuscì a recuperare il controllo: giunto a casa, si sarebbe finalmente fatto.
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