- THE MAN WHO SOLD THE WORLD -
-“Ho sete... Significa che sono vivo...”, pensa con la lingua tanto gonfia da non stargli quasi più in bocca e colmo di oscura disperazione Daniel, ma, subito, corregge il tiro, rendendosi conto che potrebbe benissimo essere all’Inferno.
In effetti, quale miglior modo per punire un’anima se non rendergli impossibile distinguere la vita dalla morte?
La sconfinata distesa di terra nella quale ormai è perduto senza rimedio non pare avere confini.
Persino la linea del cielo, all’orizzonte, si confonde in modo abnorme con la terra.
Il tremolìo prodotto dal calore è così intenso da dare la nausea: Daniel non riesce ad osservare nella stessa direzione per più di qualche secondo senza avere la sensazione che l'universo si stia squassando.
La gravità è il 60% più intensa di quella terrestre: pieno di rabbia e sarcasmo verso sé stesso pensa che, privo di quella specie di trappola in titanio, gomma e servomotori che è il suo esoscheletro, se mai si sdraiasse a terra, forse finirebbe spalmato al suolo.
E dire che gliel’avevano riportato nelle prime relazioni di vivibilità, e lui aveva pensato ad una delle solite esagerazioni della squadra da primo contatto.
Era un fatto risaputo che, il First Contact, nuova Gilda Spaziale, non si curava a fondo né delle problematiche culturali e sociologiche nè tantomeno delle problematiche ambientali che i primi esploratori avrebbero dovuto affrontare, ma solo della fame ormai tossica di deuterio, la fonte energetica dei Gate: in sostanza, era ormai divenuto un ente che mirava unicamente a perpetrarsi e conservare l’enorme potere accumulato nel corso di quasi due secoli, e, dato che più problematico sarebbe stato l'approccio con un nuovo mondo, maggiore necessità di missioni della Gilda ci sarebbero state, prendere con più di una cautela i loro report era la regola.
Non guardare con occhio critico ai report della Gilda era, peraltro e più in generale, segno di scarsa conoscenza delle cose del mondo e ingenuità, e, Daniel, non volendo dare l'impressione di essere un polìt di primo pelo, si era, prestando quasi nessuna fiducia ai due ombrosi membri della Gilda con cui aveva ampiamente discusso prima di partire, alla fine, incastrato con le sue stesse mani.
Il pianeta su cui si trovava non era, per i terresti, soltanto un ambiente difficile: se si escludevano gli agglomerati urbani ove c'erano delle zone climatizzate, era, semplicemente, invivibile.
Dunque, purtroppo, quella volta, non fidarsi del First Contact era stato uno sbaglio colossale: faceva davvero un caldo d’inferno, come riportava l'analisi climatologica, facendo ampio ricorso a strane ed inusitate metafore che mai gli era capitato di leggere in un report della Gilda, e l’esoscheletro si stava surriscaldando esteriormente ben oltre i limiti tecnici per cui era stato progettato.
Gli scanner, i distanziometrici e il climatizzatore avevano ceduto da un paio d'ore; i servomotori stavano iniziando inesorabilmente a cedere, a causa dei quasi 70 gradi centigradi del deserto in cui si trovava e della gravità forse addirittura superiore a quella enunciatagli nelle relazioni.
O, forse, era la temperatura intollerabile che riduceva la sua forza: del resto, l'esoscheletro potenziava la forza esercitata dagli arti del suo occupante; minore questa era, minore era la sua amplificazione.
E, poi, che diamine, lui non era un dannato ingegnere: era un esperto di eso-biologia, un sociologo, un economista, uno studioso di eso-culture e tantissime altre cose; quindi, che cazzo poteva saperne?
Nulla di tutto ciò che conosceva gli sarebbe tornato utile in quel momento.
D’altra parte, guardando il cielo bluastro che lo sovrastava, non sarebbe potuto essere altrimenti che capire un beneamato nulla di quanto gli stava intorno: la palla di fango sulla quale Daniel si trovava, orbitava, sfida quasi impossibile alle leggi della fisica, attorno al minore uno dei due astri del sistema binario Omicron-Theta.
Ed era la stagione calda, quella in cui i due Soli che, in modo implacabile, martoriavano col loro calore la superficie del pianeta su cui si era irrimediabilmente perduto, facendo durare il giorno quasi ventisette ore terrestri e la notte appena un’ora, si facevano sentire con maggiore furore.
Da un punto di vista stocastico, le probabilità che la vita potesse svilupparsi su un pianeta orbitante attorno ad una stella che a sua volta orbitava attorno ad un’altra stella erano infinitesime; tuttavia, la lenta forma di vita autoctona, la razza Sauride, così come l’avevano definiti quelli della Gilda, prosperava torpida, del tutto indifferente a tali bizzarrìe matematiche.
-“Lenti nel muoversi, nel ragionare e nel parlare, eppure...”, mormora Daniel con la lingua ormai così tumefatta e la gola tanto secca da avere, nettissima e assurda, l’impressione di avere dei frantumi di vetro nel cavo orale.
A quanto Daniel ricordava, quegli schifosi 200 mm di precipitazione che annaffiavano esili e inutili Theta-Beta-9 sarebbero piovuti tutti tra circa cinque mesi terrestri, nelle uniche due decine di giorni chiamati dai locali "la stagione delle grande acque". Il che peraltro giustificava, in apparenza, perché i Sauridi volessero acquistare terra fertile: ormai il suolo del loro pianeta era per la maggior parte così arso da essere divenuto una distesa calcinata ed inutilizzabile da un punto di vista agricolo. Pure se re-idratata abbondantemente. quella terra ormai era fertile quanto il vetro. Quanto ai quantitativi che la Terra avrebbe dovuto fornire, andavano oltre ogni minima logica pratica: una fornitura sarebbe stata sufficiente per rivestire totalmente le terre emerse di uno strato cospicuo di terra fertile, quindi già la seconda fornitura sarebbe stata ridondante.
Azcür, il pianeta su Daniel cui si trova, era un’anomalia da ogni punto di vista: le potenti forze gravitazionali esercitate da Omicron, gigante blu mostruosa, mai avrebbero dovuto permettere alla nebulosa planetaria formatasi attorno a Theta di partorire dei pianeti; qualora dei pianeti si fossero formati, Theta, stella simile a Sol ma con una massa di 1,5 volte superiore, questi sarebbero dovuti essere delle palle di roccia sterili; qualora la vita avesse mai dovuto fare la sua comparsa, la strutturale mancanza d’acqua di Azcür (il “Mondo Asciutto”, in italiano standard del XXVI° secolo), questa non si sarebbe dovuta evolvere da forme semplici a forme complesse.
E, invece...
A considerare l’età apparente di quello che i terrestri definivano Theta-Beta-9 (ad indicare il nono pianeta della stella compagna di Omicron), circa sette miliardi di anni fa, Dio aveva deciso di ignorare sfrontatamente le leggi ch’egli stesso aveva creato.
E giocare a dadi.
E, a dimostrazione ulteriore del fatto che a, quanto pareva, Dio era dotato di un senso dell’umorismo infinito come la sua onnipotenza, i Sauridi erano solo in apparenza una forma di vita strana, lenta e torpida: in realtà, scaltri calcolatori e subdoli come delle serpi, avevano ingannato Daniel come il più ingenuo degli ambasciatori.
Sperava che il Consiglio, dall’affare coi Sauridi - e, di riflesso, lui stesso - ne avrebbero ricavato enormi profitti, e, invece...
Merda! Ne era venuto fuori un merdone cosmico. Una cosa impossibile, tragicamente ironica, demenziale e, assolutamente, impredicibile.
Nessuno aveva intuito le potenzialità belliche dei Sauridi e la loro inamovibilità ed intransigenza politica (il detto locale preferito era "Sii sauride, sii pietra: duro, forte, irremovibile e paziente come è duro, forte, irremovibile e paziente il Dio delle Rocce, che tutto ha creato").
Ricordava con precisione eidetica quando, con cinica freddezza, aveva letto la scheda del Second Contact su Azcür: il metabolismo orribilmente simile a quello dei rettili terrestri di quelle creature, il loto epitelio a squame, la mandibola estensibile (prodigio anatomico che permetteva ai Sauridi di ingollare alimenti - per la maggior parte vivi, naturalmente - del diametro del loro cranio)... Erano tutti particolari che, valutati si rendeva conto solo ora quanto frettolosamente, l’avevano portato a concludere che quegli esseri fossero una razza di idioti selvaggi e degli schifosi cannibali, dato che, talvolta, in stagioni particolarmente secche, compresi coloro che abitavano negli agglomerati urbani, mangiavano la loro stessa prole.
E, invece, per avidità, non solo aveva falsato le sue stesse convinzioni, ma anche il suo report ufficiale...
Rammentava che, tuttavia, una tripletta di particolari aveva confermato i suoi timori inconsci post-materializzazione, anche se aveva voluto ignorare quanto sentiva: i 26 miliardi di abitanti del pianeta, che malgrado il suo diametro di circa 18.000 kilometri, lo rendevano pericolosamente sovrappopolato (del resto, c'erano solo due grandi mari su tutto il pianeta ed un centinaio di città-prefetture), "l’eredità galarite" e il fatto che i Sauridi si fossero pacificamente ma, sostanzialmente, impossessati del Gate 666, nemmeno un mese dopo la sua materializzazione nell'orbita alta di Azcür.
Ma, in quanto giocatore d'azzardo compulsivo e patologico, aveva fatto una scommessa.
La civiltà Sauride era, in essenza, una civiltà di mercanti scafati: come tali, erano voluti immediatamente entrare in rapporto di affari coi terrestri, prima ancora di instaurare un qualsivoglia rapporto sociale o culturale stabile.
In effetti, grazie alle verifiche sempre più dettagliate della sua squadra, che li aveva dapprima paragonati tecnologicamente alla Terra del ventiduesimo secolo, era emerso con sbigottimento crescente che, 3 millenni prima, secondo una stima basata sul calendario terrestre e il C14 (“moooolti cicli addietro”, gli aveva detto l’Ambasciatore Kalaar, secondo il vago calendario Sauride), la tecnologia che ora rendeva la loro esistenza un pericolo ed uno spauracchio cosmico era la mitica e vagheggiata tecnologia galarite.
Nello stato in cui si sarebbero trovati se, i Galariti (civiltà, quindi, tutt’altro che mitica, avevano scoperto i terrestri), non gli avessero letteralmente donato le loro conoscenze millenni fa, forse non solo sarebbero stati così pericolosi, probabilmente si sarebbero già estinti, e, invece...
Il Gate 666 si era spalancato, casuale ano cosmico che defecava deiezioni terrestri, sulle zucche lente, in apparenza catatoniche ma di fatto esiziali dei Sauridi, possessori fortunosi di una tecnologia che si era dimostrata, al suo palesarsi, totalmente letale.
E Daniel ci era, detto proverbiale ma quanto mai opportuno, “caduto con tutte le scarpe”.
Il contratto da lui (da lui!) stipulato era semplice: Daniel Nova, diplomatico terrestre ed ambasciatore con funzioni anche commerciali del Consiglio, si impegnava a concedere, in cambio di quello che lui aveva cercato di fare credere vile deuterio, quantità dieci volte inferiori di semplice, banalissima, terra.
E, dati i consumi immani dei seicentosessantasei Gate in funzione (il seicentosessantasettesimo l’avrebbero inaugurato tra qualche giorno terrestre, rammentò con indifferenza), che di regola attingevano deuterio dalle stelle attorno cui orbitavano e dovevano pre-trattarlo in fase di telestrasporto e poi convertirlo in carburante stabile, il contratto prevedeva una fornitura iniziale di deuterio pari a dieci volte la massa della Terra, compattato in 100 sferoidi del diametro di un centinaio di metri, tenuti assieme e compressi da fasci gravitonici. Quello che più lo aveva colpito ma non franto era il modo scervellato in cui la razza Sauride, senza fissare alcun limite superiore alla fornitura stessa, si era fottuta, in apparenza, da sé. Per razionalizzare, si era detto, sì, quegli esseri, grazie alla tecnologia Galarite, parevano dotati di riserve colossali di deuterio. Ma colossale non significa infinito, e, prima o poi, allora ne era completamente convinto, l'accordo che aveva stipulato avrebbe fatto scattare le condizioni capestro che subentravano in caso di ritardi, o, peggio, mancate forniture, verso i sauridi. Una quantità colossale è pur sempre finita, s'era detto, e, dopo varie masturbazioni mentali che l'avevano portato ad ignorare ogni allarme inconscio e consapevole che suonava nel suo testone, s'era perfino sentito quanto mai astuto.
Interrompere le forniture in modo "ingiustificato" fino al termine del contratto, la cui durata era, in un'unità di misura effettiva, il Tempo Universale Standard, che i sauridi nemmeno si erano presi la briga di chiedere a quanti cicli e periodi locali corrispondesse, avrebbe permesso alla Terra di rendere Azcür una sorta di colonia, e, in maniera pressoché incondizionata, le sue tecnologie una proprietà terrestre. Si era sentito un genio quando aveva elaborato la bozza di contratto; aveva brindato e si era sbronzato quando si era visto firmare un documento che vincolava i sauridi per circa mille anni terrestri.
Naturalmente, il contratto prevedeva la cessione di terra fertile, terra coltivabile, che, sempre grazie alla tecnologia del Gate, sarebbe stata costosamente annaffiata dai terrestri.
“Idioti”, pensò all’atto della stipula Daniel, “cazzo ve ne farete mai di migliaia e migliaia di tonnellate di terra senza la nostra preziosissima acqua? Noi, grazie, a voi, e alle migliaia di colonie orbitali in cui l'umanità si era trasferita, dovremo fare una o due forniture di fango prelevato dai circa 1000 mondi di classe M che possediamo, rettili schifosi, mentre voi vi troverete tra le mani in pochi giorni fango secco, se non starete alle nostre condizioni... Già ci state pagando oltre ogni logica economica quello che per noi è comune humus, non avete idea del salasso di deuterio che vi imporremo per l’acqua che vi si renderà necessaria... Idioti viscidi e schifosi... E vaffanculo del tutto la Gilda, già che ci siamo! Non conteranno più nulla, ma-chi-se-ne-fotte? Guadagnerò tanti di qui crediti che potrò ritirarmi sulle colonie turistiche di Titano e fare un cazzo per il resto della mia vita!”.
Aveva persino riso, facendo quelle riflessioni. Impudicamente, in presenza dei sui interlocutori. In effetti, aveva penato non poco a giustificarsi: si era dovuto inventare che, il riso, sulla Terra, era la maniera tipica di esprimere gratitudine. Ma non una normale gratitudine: una gratitudine infinita, com'era quello il caso.
Così come aveva riso della circostanza - dimostrando ulteriore gratitudine - che i Sauridi, a quanto pareva, trovassero infinitamente comico il fatto che la Terra si chiamasse Terra, e che, in sostanza, ci fosse un omonimìa tra la materia prima che loro avrebbero dovuto fornire e il suo pianeta natìo.
I Sauridi, ora che ci pensava, non ridevano pressoché mai.
Al più, e, comunque, quanto mai di rado, sibilavano rapidissimamente: quello era l'equivalente della risata umana, ma aveva visto soltanto il suo mediatore culturale locale avere l'equivalente di un accesso di risa mentre impostavano il contratto, e, sul momento, non aveva dato alcun peso all'evento. Forse era felice pure lui, e quindi si stava adeguando al falso costume terrestre che si era appena inventato.
Inverecondo, ora che ci pensa: così era stato il suo comportamento in presenza delle alte sfere del Cromagon Azcüriano, il governo planetario locale. E l'arroganza, quando sconfina nell'inverecondia, spesso viene punita dagli dei.
E severamente.
In quell'istante, stupito dalla sua stessa superficialità, rammentava che aveva accantonato come antropocentrismo quello che gli era parso uno sguardo sarcastico del Primo Membro del Cromagon, Saasiss Saarim, quando ormai il contratto stava per concludersi.
In breve, questo era quanto era accaduto: i Sauridi, solo a prima vista mentecatti spaziali, possedevano, anche se non erano ancora riusciti a creare autonomamente dei Gate ma solo dei motori in grado di portare i loro vascelli ad un decimo della velocità della luce (con tutte le aberrazioni relativistiche che ne derivavano), la tecnologia cui la Terra ambiva da due secoli (ovvero, da che la tecnologia del wormhole veniva sfruttata in modo sistematico e a livello di trasporti di massa), una delle tante eredità galarite, aveva ormai capito: lo strumento che rendeva non più quasi-casuale la creazione di tunnel spaziali: un computer che dava una rappresentazione quadri-dimensionale dell'universo. Non di una sua porzione, ma di tutto l'universo. Pareva che i Galariti, in sostanza, avessero domato il Demone di Laplace. Erano stati incapaci di creare wormhole artificiali, ma avevano la tecnologia per farne un mezzo di trasporto sicuro. Incapace di comprendere come non fossero stati di creare i wormhole ma di capire immediatamente che il megacomputer galarite fosse un crivello cosmico, aveva avuto il dubbio che i Galariti fossero stati distrutti dopo essere stati depredati del depredabile.
Nessun casso di dono cosmico, come cercavano di fare credere, ma solo cannibalizzazione tecnologica inerte.
In quel momento, complice forse il calore del deserto, il dubbio che aveva avuto si rafforzò: perché i Sauridi possedevano diverse tecnologia galarite ma non quella del teletrasporto?
Possibile che i Galariti fossero stati annientati dai Sauridi?
Se sì, erano mille volte più asuti di quanto non si erano già dimostrati.
Oppure, nessuno poteva escluderlo, i Galariti avevano una rappresentazione quadrimensionale del cosmo e viaggiavano via sub-spazio senza l'ausilio di Gate?
Chi poteva dirlo? Il sub-spazio, teorizzato come ente non topologico, era oltre la tecnologia umana, e, di certo, totalmente al di là delle capacità di quelle lucertole da un quintale ognuna.
Ma, in fondo, in quel momento, che cazzo di differenza faceva?
L'importante era che, scelto un punto “A” di partenza, le possibilità di arrivare ad un punto “B” di destinazione erano, per i terrestri della Gilda, circa, una su quattro. Il che significava smarrire una spedizione su ottanta, dal momento che talvolta i tunnel si spalancavano su altroquando infernali, e gli equipaggi andavano perduti coi relativi Gate. Da ciò era nato il ruolo assunto dalla Gilda, che, per la definizione di nuovi Gate, un processo costosissimo e difficilissimo, riceveva compensi, alla lettera, astronomici. E più missioni faceva più potere acquisiva... Ma ciò non sarebbe più potuto essere..! Grazie ad una testa di cazzo che sarebbe passata alla storia - se mai ne sarebbe rimasta una - come la testa di cazzo più testa di cazzo dell'universo.
Lui, Daniel Nova.
Lo statu-quo della Gilda si sarebbe disintegrato di lì a poco.
E-solo-grazie-a-lui.
Da secoli l'umanità vagheggiava che i Galariti avessero concepito uno strumento che, tenuto conto del movimento relativo degli astri e delle galassie, rendeva i viaggi tramite wormhole assimilabili alla navigazione a vista e, su tutto, implicavano la possibilità di usare navi prive di equipaggio per la spedizione a colpo sicuro di quantità enormi di merci, ma nessuno avrebbe potuto prevedere in che modo orrendamente doloroso l'umanità ne sarebbe venuta a definitiva conoscenza.
Tanto Galar quanto le sue tecnologie erano sempre state considerate alla stregua di miti inverificabili, e, in quanto tali, privi fondatezza; miti che venivano tramandati per lo più dai piloti spaziali per passare il tempo e scaldare i cuori e le menti, aveva semper ritenuto. Per quel che rammentava, non solo nessuno era mai andato alla ricerca di Galar o delle sue vestigia: nessuno aveva nemmeno mai pensato di farlo.
Certo, non era un mito da Iperuranio quanto quello della verginità delle Ninfeidi alla prima notte di nozze, ma quasi. Del resto, le Ninfeidi dovevano arrivare pure al matrimonio per legge, ma avevano una tendenza genetica alla ninfomania, il che rendeva difficile credere alla loro illibatezza all'atto del matrimonio...
Per cui, idiota chi ci credeva e andava a cercare tramite i social network planetari "ninfeidi vergini da sposare, anche senza dote".
Eppure, quanto a Galar, era tutto vero.
I Galariti erano esistiti, e, a quanto pareva, o erano più magnanimi di quanto il mito li dipingesse, o più ingenui: avevano incontrato i Sauridi e, chi poteva dirlo, in cambio di una contropartita equa o della loro estinzione stessa (delle due, l'una) li avevano beneficiati delle loro immense capacità scientifiche. Per la verità, era sempre più propenso a credere, che anche loro erano stati malamente fottuti nel retto, esattamente come lui, tant'è che, a detta dei Sauridi, i Galariti erano spariti nel nulla così come erano arrivati dal nulla. Senza lasciare nessuna eredità che non fosse stata quella delle preziose tecnologie donate, il che, col senno del poi, non solo sembrava parecchio anomalo, ma una vaccata cosmica.
Eppure, anche se non pareva possibile, la questioni più atroci di tutte erano altre due.
La prima, come aveva appurato a sue spese, quasi lasciandoci la pelle, i Sauridi avevano ricevuto in dono un apparato ancor più mitico della civiltà che l'aveva costruito: il Genesis. Era una macchina fantastica, del diametro di un grande asteroide (50 km circa), in grado creare dei nuovi astri da pianeti gassosi con massa intorno al 6% di quella solare o di dare nuova vita ai soli in fase di collasso, impedendo la fase distruttiva della gigante rossa.
Tale dono, aveva scoperto quasi facendosi uccidere (e quella era stata la prima volta), era stato mostruosamente alterato: uno dei tanti magnifici e pacifici doni tecnologici dei galariti, un apparato in grado di emettere un fascio concentrato di gravitoni tale da accendere soli o di prolungare la vita di quelli esistenti, era divenuto, nelle pseudopodi dei Sauridi, uno strumento di distruzione terribile.
Dato che uno degli altri strumenti che esisteva, allo stato dei fatti, era quello che permetteva di “fissare” i wormhole su un dato obiettivo (e questo in sé avrebbe ridotto in modo incalcolabile la sfera di influenza della Gilda Spaziale, ma quello era il problema minore), la tecnologia del Genesis alterato, combinata con i Gate stabilizzati, diveniva una sorta di mostruoso fucile interstellare ad altissima precisione.
La seconda questione, come se ciò non bastasse, per aggiungere danno alla beffa, dato che la civiltà galarite era stata - o forse era ancora - una civiltà di viaggiatori interstellari ed intergalattici, aveva scoperto solo due giorni locali prima, i Sauridi avevano apparati che sembravano creare deuterio dal nulla. O forse dal nulla no: probabilmente - non trovava nessun'altra maledetta spiegazione logica - prelevandolo da universi paralleli. Tali apparati, ovviamente, come tutto il resto, erano stati del tutto nascosti, fino a pochi giorni locali prima.
Altro che salassi, altro che sudditanza economica…
A quel paese il concetto di “nulla si crea e nulla si distrugge”, al diavolo l’entropia, alla malora il semplice senso comune: i Galariti avevano messo nelle mani agli Azcüriani un apparato miracoloso che vomitava deuterio in quantità stellari. No, di più: galattiche, cazzo.
Perché aveva ignorato così follemente il suo istinto? Un terribile sentore gli era preso il giorno in cui era sbarcato su quella palla di merda rotolante che era il pianeta dei sauridi, ma aveva ignorato ogni interruttore d'allarme che gli era scattato in testa.
In particolare, rifletteva ora, l’invasione lenta ma quasi totale del Gate Six-Six-Six, il daneggiamento in apparenza casuale dei suoi ambienti e dei suoi apparati, dovevano intendersi per quel che erano: i prodromi del tentativo di creare una testa di ponte verso Sol, ma soprattutto, verso Terra. I sauridi avevano giustificato l'importanza che davano al potere di delega: ogni prefetto di ogni regione-prefettura sarebbe dovuto salire a bordo del Gate per garantire ai propri concittadini, e quasi ogni prefetto, malgrado l'elevato grado di protezione dei software, aveva provocato danni a causa di una "incompatibilità" (così era stato detto) tra gli hardware dei sauridi e quelli umani.
“Supposizioni e vaneggiamenti, ridicoli in sommo grado, e più ridicolo dovrebbe essere considerato chi vi crederà, perché i Sauridi sono fondamentalmente una razza di innocui, curiosi ed avidi mercanti”: queste erano tra le ultime parole che concludevano la relazione di Daniel comunicata brevi-manu ad un membro della Gilda che avrebbe relazionato di persona per suo conto al Governo Mondiale, e che, come lui, aveva avuto dei dubbi sull'ingenuità di quei malnati kaiju in miniatura. Lo scopo era fugare gli ultimi dubbi circa l’esistenza di mire occulte dei rettiloidi di Azcür, e, si rendeva conto a posteriori, falsando le relazioni, tanto lui quanto il membro della Gilda avevano ragionato pensando solo a se' stessi.
Non c'erano altre giustificazioni.
Aveva bollato come avidi le sue controparti commerciali e, di fatto, si era ucciso per via della sua propria avidità.
Giustizia cosmica, di una specie di legge del contrapasso stellare, di quello si doveva trattare.
“Sotto certi punti di vista, è vero, potrebbero sembrare, a noi, evoluti terrestri, se si pensa alla cannibalizzazione della prole da parte del maschio, degli esseri primitivi e bestiali, ma, asseriscono loro, l'abitudine di cibarsi della propria genìa non è una barbarica e inconsapevole attitudine familiare, ma soltanto la combinazione di fattori genetici ed ambientali, e, in definitiva, una questione di sopravvivenza della specie”, così concludeva Nova nel definire le caratteristiche psicologiche e comportamentali dei Sauridi.
E, invece...
Non ponendo limiti alle quantità importabili di deuterio, il contratto sottoscritto da Daniel con pieno potere di rappresentanza nei riguardi del sistema di Sol s’era rivelato, quando aveva scoperto tutto ciò che ora sapeva, un mostruoso capestro in cui aveva finito con lo strangolare i terresti, non il contrario, e i Sauridi, per quanto in apparenza tonti, s’erano dimostrati bravissimi nelle equivalenze.
Costringendolo, tra l’altro, a fuggire dalla sede del Cromagon di Xandan, la capitale di Azcür, con un rottame di flyer che s’era schiantato dopo poche centinaia di kilometri, abbandonandolo in pieno deserto, perché, barbari folli, quando aveva iniziato a smaniare, poco c’era mancato che se lo mangiassero crudo...
E ciò perché, semplicemente, offrendo i Sauridi come “primo lotto” il concordato, ovvero una quantità di deuterio pari a dieci volte la massa terrestre (10 x 0,59742 × 10^24 kg), era emerso in modo chiaro che volevano in cambio una quantità di terra pari... alla Terra.
Così diceva il contratto avevano asserito: "Voi vi siete impegnati a venderci Terra". Quella fottuta "t" maiuscola da loro aggiunta negli ultimi comunicati che aveva ricevuto sembrava un giochetto da bambini pazzoidi, ma i sauridi, per dare prova del fatto che lui aveva firmato per vendere "Terra" e non "terra", avevano svaporato Plutone.
Piff!
Nettuno era degenerato in materia protonica prima e poi una settimana dopo in un buco nero di dimensioni di una pallina da golf.
E, dato che, palesemente, era impossibile portare la Terra ad Azcür, gli Azcüriani si sarebbero portati sulla Terra, in quanto - dichiaravano - legittimi proprietari della medesima.
Se la Terra non avesse rispettato il contratto, quella era stata la minaccia fatta a lui in particolare e all'umanità in generale, l’avrebbero fatta collassare su sé stessa come Plutone, trasformandola in un Buco Nero. I sauridi davano un enorme importanza al potere delgato, e, aveva capito, niente li avrebbe dissuasi del fatto che lui era soltato un povero ed avido imbecille. Ai loro occhi era un rappresentante legalmente designato, quindi in grado di impegnare legalmente e definitivamente chi rappresentava. Però, ciò che più gli rodeva l'ano, insulto degli insulti, era che la minaccia di quegli schifosi bestioni sibilanti si sarebbe potuta attuare in pratica solo grazie alla tecnologia del Gate, attraverso cui gli Azcüriani, se necessario, continuavano ad intimare, avrebbero "sparato" un fascio di gravitoni ultra-concentrato verso il suo mondo natìo, che sarebbe giunto a destinazione immediatamente, invece di impiegarci millenni e millenni e mancare quasi di certo il bersaglio.
Le sue energie si stanno esaurendo, la sua sete è intollerabile, e, sì, si rende conto in un momento di lucidità estrema, è vivo. Delira, ma non è ancora passato a miglior (?) vita.
Ma poco conta: è completamente disidratato, e, ad essere realisti, forse, alla meglio, nell’arco di un paio d'ore, sarebbe morto.
Gli viene da ridere istericamente, e il risultato è penoso: un suono raspante e secco, simile al latrato di un cane.
Il bello è che lui aveva firmato, assolutamente convinto di stare fottendoli...!
FIN.
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