And He Built A Crooked Stand
Premessa: questo per me è un racconto atipico. In effetti, è il mio primo racconto scritto "su commissione"; in secondo luogo parla del mio lavoro, che mai pensavo avrebbe potuto avere a che fare - nemmeno lontanissimamente - con la fantascienza. Come vi diverrà intuibile leggendolo (se mai lo leggerete), ruota attorno al tema dell'exhibit design, quindi potrà risultarvi del tutto avulso dal mio stile tipicamente pulp. Tanto per dirne una, l'espressione più volgare che ho usato è (se non sbaglio) "porca vacca"! Il che è tutto dire. Chissà, speriamo che "venda"...
- Par. 1
Daniele Airoldi era vagamente contrariato.
Il settore in cui lavorava - quello della standistica, in prevalenza - era un settore strano, dominato dall’effimero.
Non fosse stato per la soddisfazione professionale che provava da che era divenuto Architetto Capo per l’azienda da cui dipendeva (che era così intensa da fargli pensare alle parole “architetto” e “capo” con le maiuscole), si sarebbe sentito persino frustrato.
Aveva visto capolavori di allestimenti - alla lettera - venire costruiti in una dozzina di giorni, frequentati per al massimo una settimana e distrutti in tre, o quattro giorni: un fenomeno che, tutte le volte che aveva luogo e vi assisteva personalmente, gli lasciava l’amaro in bocca.
Certo, si trattava di una fenomenologia intrinseca al settore in cui lavorava, nondimeno...
Nondimeno, lui voleva lasciare il segno.
Ma non nell’ambito delle riviste di settore, degli addetti ai lavori o dell’ente che raccoglieva sottoforma di associazione le aziende come quella per cui lui stesso lavorava: lui voleva lasciare il segno negli espositori (perche certo, sì, un ritorno economico e di immagine non avrebbe affatto guastato), e, su tutto, nel pubblico dei visitatori.
Questa sua idea era così ricorrente che stava iniziando ad assumere i contorni di una vaga ossessione.
Lui voleva colpire le persone che, lo sapeva e ne soffriva, novanta volte su cento, consideravano lo stand che stavano visitando come mera cornice, tutti presi dal o dai prodotti esposti.
Non che non ne fossero attratti, certo – altrimenti la sua stessa professione non avrebbe avuto ragione d’essere – ma a lui non bastava.
Lui voleva che il pubblico, di fronte ad una sua creazione, rimanesse col fiato tronco, voleva che la gente entrasse nello spazio da lui concepito attirata tanto dall’estetica della sua creazione quanto dal nome dell’espositore, e, infine, una volta varcatene la soglia, voleva che il pubblico si sentisse inebriato sia dal prodotto esposto sia da quanto serviva ad esporlo.
Mentre pensava tutto questo, il telefono del suo interno squillò: la sua segretaria personale gli disse che il Signor Randolfi, Responsabile dell’Ufficio Marketing dell’importantissima azienda di orologeria con cui aveva avuto un contatto personale un mese prima, voleva parlargli.
Lui, che raramente si scomponeva, sentì il cuore sobbalzargli in petto: forse da quello stesso momento, giorno in cui avrebbe preso appuntamento con il titolare di un importante nome nel settore dell’orologeria italo-svizzera per illustrargli la sua idea, le cose avrebbero potuto prendere una piega del tutto differente.
- Par. 2
A quanto pareva, per quanto triste fosse, doveva ringraziare il clima di tensione internazionale, l’eccessiva rivalutazione dell’euro e la stagflazione.
L’orologeria era un settore in crisi: tutto era cominciato nel 2004. In quell’anno, complice il timore della SARS e la guerra in Iraq, le cifre pubblicate dalla Federazione dell’industria orologiera svizzera erano state tremende e senza appello: il calo delle vendite si era aggirato attorno al 5%, pari ad un totale di una decina di miliardi di franchi; altrettanto drammatico il calo nel bilancio del numero di orologi prodotti, circa il 9% in meno (il che equivaleva a qualcosa come 2,5 milioni di pezzi in meno rispetto all’anno precedente).
A quanto gli avevano detto il Presidente e il Responsabile dell’Ufficio Marketing di quella che, ormai, lo dava per altamente probabile, era una sua azienda cliente, il trend, dal 2004 al 2008, non era affatto migliorato.
Ecco perché le fiere di settore che, da sempre erano state considerate quasi rivali, dovevano essere considerate da un punto di vista sinergico, gli era stato detto.
A quel punto, per lui cogliere la palla al balzo era stato giocoforza: “Signori”, aveva quindi ribattuto, “per quanto a Basilea ci siano anche espositori che producono orologi da pochi dollari al pezzo e a Ginevra espongano solo i 16 pezzi da novanta dell’orologeria svizzera, la prima fiera sia aperta al pubblico e la seconda solo agli addetti ali lavori, non credo affatto che questo debba costituire motivo di preoccupazione sotto forma di un timore di una duplicazione dei costi... Anzi, questo per voi deve essere e sarà un vantaggio strategico”.
Il Presidente l’aveva guardato con aria dubbiosa. Con il sopracciglio destro incurvato ad una gradazione impossibile e con un tono di voce notevolmente scettico e vagamente adirato, gli era stato risposto: “Si spieghi, per favore”.
Quelle poche parole l’avevano intimidito, ma, viste le opportunità che intravvedeva, partì in quarta, deciso come non mai: “E’ semplice: proponendo la medesima immagine in tutti e due gli allestimenti, non solo aumenterete la vostra riconoscibilità, ma potrete anche risparmiare. E’ pur vero che la formula predominante attraverso la quale noi vendiamo sia quella del noleggio, ma ciò non ci impedisce affatto di realizzare una struttura che potrà essere realizzata in occasione del primo evento e riproposta tel quel sul secondo... Ripeto, maggiore riconoscibilità... E, fatto non da poco, una notevole ammortizzazione dei costi di struttura... Del 50%, per la precisione”.
A quel punto, lo sguardo del Presidente era cambiato notevolmente, passando dall’aria scettica ed infastidita che aveva assunto poco prima a quella dell’affarista che sa di stare per concludere un accordo di tutto vantaggio.
“E per quanto concerne l’aspetto creativo? Il progetto, insomma? Si è fatto un’idea?”, gli aveva allora domandato.
Sì, si era fatto un’idea.
- Par. 3
Il Responsabile del Marketing era entrato nella discussione solo a quel punto.
“Signor Airoldi, io non voglio sminuire la sua conoscenza del nostro settore, e non so quanto conosca od apprezzi il nostro marchio, ma come fa a dire che per noi ci sarà un ritorno di immagine dal Salon International de la Haute Horlogerie, dedicato ai professionisti ed all’orologeria di lusso a Baselworld, dove, come ha detto lei stesso, vi sono produttori asiatici che vendono orologi con cui la nostra struttura non potrebbe nemmeno coprire il costo di una lancetta da secondiera?”
Sospirò, compiaciuto. La domanda che aspettava era finalmente arrivata: rispose al suo interlocutore, sperando però di fare breccia in modo definitivo nel portafoglio dell'amministratore delegato: “Signor Berardi, anzitutto, l’orologio che porto al polso, che mi sono ben guardato dall'esibire perché non amo compiacere la gente, è da voi prodotto ed è il regalo che mi sono fatto quando sono divenuto Architetto Capo, quindi posso dire non solo di conoscere il vostro marchio, ma di adorarlo in modo reverenziale; in secondo luogo, il ritorno di immagine ci sarà, perché, del mio stand, e, quindi, inevitabilmente, di voi, si parlerà ben al di fuori delle riviste di settore per il semplice fatto che esso sarà un Ipercubo. Se non ricordo male, all’ultimo Salon, tra professionisti di settore e giornalisti accreditati si sono raggiunte circa le 15-mila presenze... Mi creda, creeremo un boato così potente che a Baselworld la gente accorrerà a frotte”.
- Par. 4
“Ci sono nostri clienti che – credetemi – considerano lo stand alla stregua di un gadget per contenere i prodotti”, continuò, dato che i suoi interlocutori avevano assunto un’aria interrogativa, “io invece voglio che l’insieme che verrà costituito dal mio allestimento e dai vostri prodotti sia... Sia, permettetemi di dirlo, ricordato come un’opera d’arte unica... Naturalmente, questo dovrebbe attribuire ulteriore esclusività ai vostri orologi, e, in ultima analisi, farne aumentare le vendite”.
Il Presidente scoppiò a ridere di gusto, e Daniele si preoccupò, ma poi, quando lo vide avvicinarsi per dargli una pacca sulla schiena, sentì di aver fatto un importante passo verso l’acquisizione della sua fiducia.
“Signor Airoldi, può anche non prendermi sul serio, ma anche se io sono una persona di cultura e dai gusti raffinati, sono un individuo semplice. Che diavolo è un Ipercubo? E già che ci siamo, mi riparli di quel discorso dell’aumento delle vendite, che alle mie orecchie suona splendidamente...”
Per un attimo temette di stare andando ad incastrarsi in un discorso controproducente, ma poi, come aveva imparato a fare con il CEO dell’azienda per cui lavorava, optò per la sincerità e l’immediatezza.
Rise anche lui, e fatto una sorta di vuoto zen dentro di sé, gli rispose.
- Par. 5
“Penso ai miei allestimenti come a macchine per vendere. In essi mi piace innescare un processo dinamico, in cui il potenziale cliente viene attratto dall’architettura dell'allestimento e degli espositori, per poi venire catturato irresistibilmente dal prodotto, come una farfalla attratta dalla luce. Nell’Ipercubo, la quarta dimensione non è il tempo... E’ una dimensione spaziale, alla stessa stregua di base, profondità e altezza. Questo oggetto dimensionale ha una caratteristica eccezionale... Gliela faccio breve e semplice: immagini, in un solo ambiente, di poterne concentrare otto. Pensi al risparmio nei costi di parcheggio... E non la sto prendendo in giro”, disse Daniele.
“Non ne dubito. Però, visto che è un architetto, perché non mi fa una semplice illustrazione?”, disse il Presidente.
“Certo, nessun problema!”, rispose con fervore - forse troppo - Daniele.
In pochi secondi terminò, disegnando il Tesseract nella variante bidimensionale.
“Uhm... Senza offesa, signor Airoldi, ma io qui vedo un cubo dentro l’altro, e a collegare il cubo interno a quello esterno vedo delle pareti inclinate... Come potrebbe questo costituire un’economizzazione dello spazio? Per non parlare dei problemi di statica... Come potrebbe il cubo interno non crollare?”
“Signor Presidente, so che è difficile da spiegare, ma lei ora sta vedendo una rappresentazione bidimensionale di un Ipercubo Quadridimensionale”, gli rispose con un tono di voce che gli parve spaventosamente basso, incerto e debole.
Proprio mentre stava per dare per perso un cliente che ormai aveva dato per acquisito, un’intuizione gli esplose nel cervello.
“Una proiezione nel piano! Ecco quello che le farò vedere! Una proiezione nel piano! Vedrà, le sarà più facile capire, perché le mostrerò l’Ipercubo sviluppato!”
Pochi secondi e concluse il nuovo schizzo: una pila di quattro cubi uguali, e, di fronte ad ogni lato a vista del terz’ultimo in alto, altri quattro cubi aggettanti.
“Mi creda, esteriormente la gente vedrà qualcosa di simile a questo - e così dicendo, disegnò un unico e normale cubo con un ingresso costituito da quattro arcate a portali concentrici - ma lo sviluppo spaziale interno corrisponderà alla seconda figura che le ho disegnato”.
Trascorsero diversi secondi di assoluto silenzio.
“Affascinante. Devo essere impazzito, e sa perché? Perché non le credo. Purtroppo, se vuole lavorare con noi, deve accettare il nostro form con le penali annesse, quindi se qualcosa dovesse andare diversamente da come dice, con la sola richiesta danni che dovremo farvi ci saremo pagati l'allestimento. Accetta di lavorare in simili condizioni di rischio?”, disse il Presidente.
Daniele si sciolse interiormente, ma, senza darlo affatto a vedere, continuò: “Ovviamente sì. Se il suo non è un divertissement cui sta indulgendo per puro spirito goliardico, accetto. Sa dove starà il bello? Nella bellezza interiore degli ambienti in cui si svilupperà l'Ipercubo. Insomma, in quelle che saranno l’interno, gli espositori prodotto e le finiture... Le piacciono le linee curve del Guggenheim di Bilbao?”
- Par. 6
Venne fuori che al Presidente piacevano come e più che a Daniele. E che nel suo carattere ci fosse una predisposizione al rischio che aveva dello spaventevole. Ammise di credere in ciò che Daniele diceva, ma fino a che non avesse visto coi suoi occhi e sperimentato la verità del Tesseract non avrebbe scucito un euro. Zero acconti fino a che l'orditura in metallo della struttura non fosse stata pronta e Randolfi stesso non avesse potuto verificarne le proprietà topologiche.
Daniele accettò, di fatto mettendo la propria carriera nelle mani di un unico cliente, e i lavori partirono.
Pensò ancora a quel giorno, a come aveva persuaso Randolfi e Berardi, che s'era dimostrato non meno attento e mastino di Randolfi stesso. “La mia idea è quella di coniugare – perdonate la brutalità della semplificazione - l’estetica media di un vostro orologio con quella dell’allestimento propostovi... Vediamo se riesco a spiegarmi: ritengo i vostri orologi assieme monolitici e barocchi, meravigliosamente eleganti ed unici, raffinati ed insieme semplici... E quello che più mi stupisce di essi e da sempre mi ha colpito è l’uso delle linee curve. Ecco perché all'esterno voglio creare quello che sembrerà un monolito azteco arricchito coi simboli astrologici del Sole, della Luna e delle stelle, e, all'interno, voglio espositori metallici centinati pensati sulla falsariga del Guggenheim, dove i singoli orologi saranno esposti come opere d’arte... L’esterno dovrà fare pensare allo scorrere del tempo – rappresentato dall'alternarsi del giorno e della notte - alla monoliticità e perfezione dei vostri orologi, e l’interno li proporrà come gioielli e pezzi unici, caratterizzati da linee dolci... Che ne dite?”, aveva domandato d’un fiato Daniele, accompagnandosi come sempre faceva con disegni dai tratti rapidi e veloci.
“Dico che possiamo firmare il contratto, perché ho una sensazione positiva, e mi sono sempre fidato delle mie sensazioni”, rispose il Presidente.
- Par. 7
Non fosse stato per l’euforia causatagli dal fatto che il suo cliente aveva annunciato che avrebbe chiuso il contratto con la sua azienda senza nemmeno chiederne il costo e avesse mantenuto la parola anche quando il preventivo – non propriamente economico, in verità – gli era stato proposto, Daniele avrebbe preso un po’ più sul serio gli incidenti riferitigli dal suo capo-cantiere durante la costruzione dell’allestimento.
Ma, appunto, era troppo euforico, quasi in uno stato di grazia, pertanto...
Inoltre, fatto non da poco, tutti sapevano quanto potesse essere intossicante la birra ginevrina (e non solo quella), quindi, s'era detto, in piena ed anomala "politically uncorrect": "avessero lavorato di più il giorno e festeggiato meno la notte"...
Una settimana prima dell’inaugurazione successe però un fatto oltremodo strano.
La costruzione dell’allestimento si era rivelata assai complicata, quindi nell'ultima settimana si era reso necessario lavorare anche di notte.
Al terzo giorno di lavori notturni, gli addetti al montaggio asserirono che all'interno dello stand ci fossero dei fantasmi, e la metà di loro minacciò di licenziarsi.
Di solito a controllarli avrebbe provveduto il capo-cantiere, però, dal momento che tra coloro che volevano gettare la spugna c’era anche lui, prese il primo volo disponibile per andare a risolvere le cose.
Non si rendevano conto?
Pensava con orrore e costernazione alla tradizione venticinquennale della sua azienda di consegnare in tempo gli allestimenti, e, soprattutto, alla mostruosa penale quotidiana che avrebbero dovuto pagare se avessero tardato nella consegna...
Pazzesco, nell’aria di Ginevra ci doveva essere qualcosa che contaminava le menti, non poteva esserci altra soluzione.
- Par. 8
Arrivò poche ore dopo l'ultima folle telefonata di Anselmo, il capo-cantiere. Questi lo accolse tremante all'ingresso del padiglione, ed esordì dicendogli: "Io, lì dentro non ci lavoro più".
Il suo incarnato era così pallido da parere evanescente, e il fatto lo spaventò non poco. Diamine, era di origini siciliane – come in parte lui stesso – e di regola erano entrambi scuri come dei sud-americani.
“Anse’, che ti piglia? Sei ammalato? C'hai un colore da schifo, amico mio. Pare che hai ingoiato della candeggina”, gli disse con sincera preoccupazione.
“Daniele, ammalato un corno. Candeggina un corno. Me la sto facendo addosso, tutto lì. Senti, già ci agitavano le prospettive che si sono venute a creare quando abbiamo completato la struttura metallica portante e posato pavimenti e pareti, ma, adesso, si esagera... Poi, tu hai riso di me, ma anche la storia del martello è vera! E, poi, ci sono voci. Ci sono delle voci, che non sono le nostre. Insomma, ci sono i fantasmi!”, gli disse con un tono che risultò così stridulo da essere involontariamente comico.
Una settimana prima, gli aveva riferito Anselmo che ad un operaio era scivolato di mano un martello – fatto normale, capitava, i martelli cadevano, finivano scaraventatati per errore, che diamine, erano assicurati per quello... Che, sul momento, non era stato trovato, ma poi... Un’ora dopo, o poco meno, era piombato lateralmente dalla stanza che avrebbe ospitato la nuova collezione del loro cliente, per poi configgersi nella vetrata dell’espositore che avrebbe dovuto contenere un pezzo storico del valore di circa un milione e mezzo milione di euro. Era una stranezza, lo ammetteva, perché se anche un operaio lo avesse lanciato di proposito, non sarebbe sembrato un moderno tomahawk confitto in un vetro blindato... In breve, il fatto gli era parso talmente strano che, malgrado le foto che gli erano state inviate, aveva abbondantemente razionalizzato e liquidato la questione come "fatto poco rilevante" - fino a quel momento.
Quando Anselmo aveva raccontato del martello precipite a Daniele questi gli aveva riso in faccia (stavano parlando con Skype, e la sua espressione era così assurda che ridere di lui - deriderlo, quasi - era stato un brutale giocoforza). Sul serio, l’aveva trovato così comico che fare riprodurre in fretta e furia il vetro curvo che era stato sfondato gli aveva fatto prescindere dal danno economico senza che quasi se ne accorgesse.
“Fantasmi. Certo. Senti, Anse’, hai mai sentito parlare del ‘Rasoio di Occam’?”, gli chiese Daniele.
“La fai facile, tu! Qui non c’è nessuna spiegazione improbabile! Qui ci sono i fantasmi! Anzi, nel tuo stand, solo nel tuo stand, ci sono i fantasmi! Lo sai che tutti coloro che sono stati nel tuo allestimento di notte se la sono fatta quasi addosso? Lo sai che non ci pigliano nemmeno più per i fondelli, perché tutti quelli che sono venuti con l’intenzione di sfotterci se sono andati spaventati come e peggio di noi?”
Gli parlò tutto d’un fiato, gesticolando con violenza, e Daniele rimase profondamente colpito: di solito, Anselmo, era lento nel parlare quanto lo era nel muoversi.
Si portò pollice e indice al naso, sotto le sopracciglia, come sempre faceva quando voleva evitare di uscire dai gangheri, e, nel tono più calmo che gli riuscì, disse: “Anselmo, se questa storia non si conclude per il meglio, dobbiamo cominciare sul serio a pensare ad un nuovo lavoro... Andiamo, vinci le tue paure: portami sullo stand”. Anselmo lo guardò malissimamente ma acconsentì.
- Par. 9
L’allestimento da fuori faceva un’ottima impressione.
Sembrava in effetti un tempio Azteco, e i portali, costruiti come la scalinata rovescia di uno Ziggurat, creavano un effetto prospettico che, assommato al semplice guardare l’interno di un Ipercubo, producevano un risultato doppiamente straniante.
Quando fu dentro, l’effetto di straniamento si fece ancora più forte.
Guardò sopra di sé, e, invece di vedere l’ambiente superiore - il soffitto che era una griglia metallica con dei vetri calpestabili - vide la sua stessa persona, dai piedi in su’, coloro che lo circondavano, e le vetrine espositive che aveva accanto, viste da di sotto...
Ma il contenuto dell’ambiente superiore, che si sarebbe dovuto perfettamente vedere, malgrado la griglia, non c’era...!
Si girò a destra, e per poco non cadde, da quanto indietreggiò.
“Daniele, hai visto, tu che facevi il furbo? E’ la prima volta che vedi la struttura finita, e adesso, che mi dici? ‘In un Ipercubo ogni parete connette due camere’… Parole tue, ma dalla geometria sulla carta alla realtà c’è una bella differenza, eh? E poi non ti aspettavi che quello che valeva per le pareti valesse pure per i pavimenti e i soffitti, eh?”, disse Anselmo con un tono fin troppo compiaciuto (pareva isterico, in verità).
In sostanza, stava guardando sé stesso, di nuovo, ma... Vedeva le sue spalle, la sua nuca, il suo didietro, e, per quanti sforzi facesse, non riusciva a guardarsi in faccia (al massimo si intuiva di profilo)…
Sembrava di essere di fronte ad un specchio impazzito, che invece di riflettere quanto aveva davanti a sé, lo mostrava da dietro.
“Per la miseria”, riuscì solo a mormorare.
Si sentì mancare, quando un urlo fortissimo lo riportò alla realtà: si voltò, e vide che Bruno, il braccio destro di Anselmo, che era l’unico che, a quanto pareva, si era ben guardato dall'avvicinarsi a loro – non aveva capito se per paura o menefreghismo - si era dato una martellata su un dito.
“Di nuovo!”, gridò. “Basta, io me ne vado! E’ la quarta martellata che mi rifilo da solo! Se volete degli operai, chiamate prima un esorcista!”.
Venne verso di lui, con un’aria così bellicosa che Daniele si preparò al peggio, e, invece, gli disse: “Questa è opera tua, vero?! Bene, arrangiati! Montatela da solo!”. Dopodiché uscì, a passi lunghi e pesanti.
- Par. 10
Daniele era sempre stato un razionalista ed un fermo assertore della veridicità del Rasoio di Occam, quindi, dopo avere capito ed accettato di avere di fronte un semplice – per quanto in apparenza folle – gioco di prospettive, chiamò Anselmo e la squadra di montatori superstite a sé. Una parte di lui era ferocemente orgogliosa di quanto aveva realizzato e di quanto gliene sarebbe derivato in termini di notorietà al suo cliente, e, soprattutto, di notorietà personale, ma la situazione era troppo critica per abbandonarsi all’autocompiacimento fine a sé stesso in quel momento.
Era un po’ preoccupato, perché, se la maggior parte di coloro che aveva attorno lo guardava come se fosse stato un alieno, c’era pure qualcuno che lo squadrava così come ai tempi dell’Inquisizione si doveva aver guardato chi si aveva avuto intenzione di mandare al rogo.
“Signori, se questi sono i ‘fantasmi’ che asserite di avere visto, mi spiace dire che vi siete fatti spaventare per niente... Si tratta di banali effetti di prospettiva”, disse, ma la platea che aveva attorno parve farsi ancora più aggressiva.
“Ok, va bene, sto minimizzando, non sono affatto banali, ma sempre di giochi di prospettiva si tratta”, insisté.
Anselmo lo guardò scuotendo la testa, così come si guarda un mentecatto farneticante.
“Daniele, tu ci offendi. Questo lo abbiamo capito benissimo anche noi. Ma il fatto sta non tanto in quello che si vede, ma in quello che si sente. Ah, prima che tu possa pensare che qui ci sia qualcuno oltre noi, ti posso assicurare che, adesso, questo padiglione è vuoto”.
“Anse’, stai vaneggiando, scusa. A parte te e me, io non sento assolutamente niente”, rispose con una cattiveria che non avrebbe voluto usare.
“Nooo? Davvero, caro il mio scienziato?”, gli gridò Anselmo.
“No. E il mio udito è buono”.
”Zitti tutti!”, urlò Anselmo.
Daniele non disse niente, ma non poté fare a meno di pensare: “Come se qualcuno avesse aperto bocca a parte me e te”, ma, stranamente, riuscì a tacere.
Attese qualche secondo, ma non sentì assolutamente nulla. Guardò Anselmo, con un’aria che sarebbe voluta risultare compassionevole ma risultò sprezzante, fece per riprendere la sua concione, e, all’improvviso, udì un urlo lontano ed ovattato.
“Non significa niente, potrebbe venire da fuori”, disse, ma Anselmo si limitò a fulminarlo con lo sguardo e a portarsi l’indice di fronte al naso nell'universale segno che serviva ad indurre al silenzio.
E, in modo assolutamente repentino, accadde.
Da tutti i lati, da sopra, da sotto, da destra e da sinistra, davanti e da dietro, un’ondata di mormorii inintelligibili lo travolse.
“Porca vacca”, si limitò a dire.
- Par. 11
Per fortuna si era premunito, portandosi appresso un videocamera portatile. Era grande quanto il palmo della sua mano, ma si sarebbe adattata alla bisogna, visto che i suoni che si stavano udendo anche in quel momento, per quanto pressoché indiscernibili, parevano decisamente delle voci umane. Sovrapposte e confuse, ma pur sempre tali.
Fece cenno a coloro che lo circondavano di continuare a tacere – in verità, non che ce ne fosse stato bisogno, tutti parevano piuttosto terrorizzati ed allibiti – e registrò per parecchi minuti.
Una volta che si rese conto che il fenomeno si presentava uguale a sé stesso da che era iniziato e si capacitò che continuare a registrare non sarebbe servito a nulla, premette il tasto di stop.
Mandò indietro la registrazione fino all'inizio e si dispose ad ascoltarla al massimo volume.
Certo, era inquietante, ma emergevano chiaramente delle parole, tutte in italiano. Compresi diversi improperi tipici di Anselmo e di Bruno. Si concentrò ulteriormente, e, infine, si sentì dire in modo chiaro ed inequivocabile: “Si tratta di banali effetti di prospettiva!”.
Fu in quel momento che comprese.
Erano le loro stesse voci.
“Gente, ho risolto il mistero! Non c’è nessun fantasma! Siamo noi! Sono le nostre stesse voci! Avvicinatevi!”, urlò, con un entusiasmo forse eccessivo.
Timidamente un operaio si fece avanti, poco dopo gli altri lo seguirono; tutti, tranne Anselmo.
Qualche istante di incertezza e partì un coro di “E’ vero!”, “Ha ragione!”, “Questo è Bruno che mi sta cazziando!”, ma l’atteggiamento di Anselmo non cambiò di una virgola.
“E allora?”, gli domandò, “non sei soddisfatto?”.
“NO! Non mi pare affatto normale, in ogni caso! E’ stregoneria!”, ribatté Anselmo, ma non pareva un granché convinto delle sue stesse parole.
“No, Anselmo! E’ fisica! E’ un puro fenomeno fisico”, gli rispose, e, con calma, si dispose a fare il discorso che forse avrebbe salvato la commessa più importante della sua vita.
- Par. 12
“Signori, una premessa: forse non tutti voi lo sanno, ma sapete quale sarà la penale se tarderemo nella consegna? Circa 15.000 euro orari. Orari. E questo nella prima mezza giornata... Trascorse le prime quattro ore, la penale raddoppierà, "fino alla consegna dell'allestimento, realizzato in ogni sua componente principale e accessoria, realizzato secondo la regola dell'arte". Naturalmente, considerate la possibilità che il nostro cliente avrà di citarci in giudizio per i danni di immagine. Cosa che ovviamente farà. Qui, senza esagerare, ci troveremo tutti in mutande. E nessuno di voi ha voglia di prendersi il raffreddore, non è vero?”, chiosò, ma la battuta non fece ridere nessuno.
Visti i risultati - capì che, a quanto sembrava, lo spauracchio del licenziamento e della richiesta danni non pareva minimamente attecchire - decise di cambiare registro. Del resto, loro sarebbero stati licenziati: i danni che avrebbero richiesto all'azienda per cui lavorava avrebbero comportato la sua dipartita. Sul serio: c'era la possibilità che il suo beneamato e benemerito boss lo crocifiggesse sulla palina in acciaio al centro del cortile che indicava i percorsi che i bilici avrebbero potuto intraprendere. Del resto, la forma e la struttura si prestavano perfettamente...
Si scosse, rimuovendo quella folle immagine mentale e riprese a parlare.
“Allora, facciamo così: immagino che, quando avete completato la struttura e avete realizzato che da una medesima parete si poteva vedere l’ambiente adiacente così come quello in cui eravate visto da dietro a seconda di quanto vicini foste al confine con l’altro ambiente stesso, vi sia preso un colpo, giusto? E, poi, i soffitti che sembrano non esistere, mutati nei pavimenti dello stesso spazio cubico in cui siete! Indescrivibile, vero?”, domandò a tutti quanti.
“Certo”, “Sì, e come no!”, “Ma ti sei visto quando sei entrato? Per poco non collassavi dalla paura!”, gli risposero quasi all’unisono.
“Infatti! Mi sono sentito mancare, giuro. Ma quando ho capito cosa stava succedendo, basta, fine, stop, per quanto shoccante fosse, l’ho accettato. E, adesso, che c’è di diverso in quanto vi ho appena dimostrato? Non si tratta di ‘voci dall’oltretomba’ o di ‘voci dalla quinta dimensione’: si tratta delle vostre, anzi!, delle nostre stesse voci. Anselmo, la stregoneria è morta e sepolta così come è morto e sepolto il Medioevo”, disse, ed era davvero convinto di quanto affermava.
“In effetti...”, “Forse abbiamo esagerato...”, “E poi, coi tempi che corrono, andarsi ad incasinare con una causa legale...”, gli risposero quasi tutti, più o meno convinti.
“Giusto! Bravi, bravissimi! Ci siamo capiti alla perfezione! Al lavoro, dunque, tutti! Forza!”, disse agitando le braccia e sorridendo alla stregua di un Giorgio Mastrota che propone un servizio di pentole che sa per certo che venderà migliaia di unità.
Anselmo lo osservò in tralice, ma, alla fine, anche lui riprese a lavorare.
Avesse saputo quanto Daniele fosse andato vicino alla verità, parlando di quinta dimensione, forse lo avrebbe guardato con una stizza ancora maggiore.
- Par. 13
Il 18 Gennaio 2009 arrivò, e, con esso, l’inizio del SIHH.
Il suo allestimento fu un successo mondiale, così strepitoso e reboante che arrivano a definirlo l’”Architetto della Serendipità”.
I fenomeni di alterazione della prospettiva e nel ritardo della trasmissione dei suoni da un ambiente all'altro furono studiati e sviscerati; le teorie cominciarono a proliferare come funghi, e in lui si formò la fortissima convinzione che, in realtà, nessuno ne stesse capendo un emerito accidente.
Poco male, pensava, prima o poi qualche Einstein ne sarebbe venuto a capo, e, lui, sarebbe di certo entrato nella "Storia" con la "s" maiuscola, ma a Daniele importava poco.
Voleva lasciare un segno nel mondo dell'architettura temporanea, e, come una sorta di novello di Lucio Fontana, che, con uno squarcio su una tela aveva permesso di vedere oltre di essa, oltre il muro su cui il quadro era appeso, oltre i confini spaziali e fin dove l'immaginazione dell'osservatore si fosse potuta spingere, aveva squarciato la realtà.
Era felice come non mai, anche se quella definizione gli stava un po’ stretta. "L'Architetto della Serendipità". Ne era certo, sicuramente lui non sarebbe stato ricordato come l’Architetto Che Lasciava Il Segno, ma come L'Architetto della Serendipità".
Ricordò "I tre prìncipi di Serendippo".
Si senti stoltamente felice.
"Quando le loro altezze viaggiavano, continuavano a fare scoperte, per accidente e per sagacia, di cose di cui non erano in cerca".
Avrebbe voluto essere ricordato come un Architetto eccezionale, avrebbe voluto colpire le persone col suo genio, ma, con quell’appellativo, lo avevano fatto sentire un po’ come...
Un po’ come il più grande pistolero del West, che però, invece di colpire il centro perfetto del bersaglio cui aveva mirato, colpiva il centro perfetto di...
…Quello accanto.
Ma era ugualmente al settimo cielo, bisognava ammetterlo.
Un solo evento negativo macchiò temporaneamente il SIHH 2009: la scomparsa di una visitatrice all'interno del padiglione in cui c’era il suo stand (una bellissima visitatrice, a giudicare dalle foto diffuse a seguito della sparizione). Perlomeno, si pensò che fosse scomparsa dentro il padiglione in cui c'era il suo allestimento, perché aveva usato un badge per entrare e poi... Era uscita senza, a quanto pareva. "Il che non dimostra nulla, si disse, io non c'entro niente", ma un senso di vaga inquietudine lo infastidì per tre giorni, ma poi si quietò: se in qualche modo fosse centrato il suo Ipercubo, non poteva avere fatto sparire solo una persona.
Fosse stato un pessimista, avrebbe pensato che in qualche modo c’entrasse il suo Ipercubo, ma, che diamine, era un Capolavoro dell’Architettura Serendipica, non certo un Inghiottitoio di Belle Femmine...
No?!
- Par. 14
Il giorno prima dell’inaugurazione di Baselword 2009 fece uno stranissimo sogno (più strano della media, in verità): una bellissima donna, all’interno del suo stand, gli piombava tra le braccia. Letteralmente: nel sogno, alle 10 e 10 minuti antimeridiane spaccate, come testimoniavano tutti gli orologi che aveva a portata di sguardo, una bellissima ragazza gli precipitava tra le braccia all’interno della sala della collezione 2009.
E, sempre nel sogno, tra di loro scoccava il colpo di fulmine, subito.
Spinto da una incoercibile senso di irrequietezza e di attesa, decise, in fretta e furia, di munire tutti e otto gli ambienti del suo Tesseract con delle telecamere di sicurezza, oltre che con un addetto al servizio d’ordine per sala, anziché limitarsi ai due soli addetti e all’unica telecamera di sicurezza che inquadrava il pezzo da collezione da un milione e mezzo di euro del SIHH 2009.
A parte il discorso del colpo di fulmine, cui non credeva affatto, visto che era un Monstrum di Serendipità, tanto valeva approfittarne ed andare fino in fondo, no?
Se fosse successa qualche stranezza, bene sarebbe stato averne la prova inconfutabile.
- Par. 15
Il 26 Marzo 2009 il suo allestimento fu preso d’assalto, tanto che dovettero duplicare il servizio d’ordine per limitare l’ingresso ad un centinaio di persone alla volta.
Alle 10 e 5 minuti si arrecò nella Sala della Collezione 2009, sentendosi vagamente idiota.
Alle 10 e 7 minuti fece il vuoto attorno a sé, dichiarando, in un francese piuttosto stentato, che era un prestidigitatore incaricato dalla Committenza, e che stava per fare un numero dalla portata eccezionale (non gli venne in mente niente di meglio).
Dopo due minuti di assoluto silenzio e di braccia spalancate, circondato da un capannello di curiosi, cominciò a sentirsi un idiota totale, un mentecatto fatto e finito, quando...
I contorni del soffitto presero a vorticare come se si fosse formato un pozzo gravitazionale, un ciclone multicolore, un maelström e...
...All’improvviso, una bellissima ragazza gli precipitò tra le braccia.
Si resse a malapena in piedi, pensò di stare ancora sognando, e quando la vide in faccia capì che doveva stare sognando per forza: era la ragazza sparita al Salone di Ginevra tenutosi in Gennaio!
“Oh, pardonnez-moi, Monsieur, je me suis trompée... ”, gli disse la ragazza guardandolo negli occhi. Sembrava vagamente sconcertata, ma del tutto lucida e presente.
“Forse però un problem sce’… Di dove sono caduta? Si è rotto il pavimonto?”, domandò guardandosi attorno, ma, Daniele, fatto rarissimo, era senza parole.
Diamine, quant’era bella!
Sì, stava per forza sognando!
Il tacco che gli conficcò nel piede sinistro mentre la deponeva a terra gli fece invece capire che era totalmente, assolutamente, inequivocabilmente ed irrevocabilmente sveglio.
“Porca vacca”, si limitò a dire.
- Par. 16
La ragazza era una giornalista del Paris-Presse, e si rivelò eccezionalmente sveglia, lucida di mente, nonché dotata di una elasticità mentale e di una capacità di adattamento fuori del comune.
Era di origini italiane, infatti, si chiamava Andrea De Franceschi.
Per lei era il 19 Gennaio 2009, non c’era nessun dubbio.
Accettò la verità, e, soprattutto, le potenzialità di quanto era avvenuto, senza mostrare nessuna apparente difficoltà (“Non è scerto l’unica cosa strona del suo allestimonto”, disse in un italiano tanto stentato quanto sexy a lui e ai detectives presenti durante il primo degli interrogatori fiume cui sottoposero entrambi).
Si rammaricò soltanto di non avere potuto festeggiare il compleanno del nonno, che si era tenuto il primo di marzo.
Tre settimane dopo, finita la tempesta iniziale di domande da parte di giornalisti, e, soprattutto, da parte delle autorità, che inizialmente avevano pensato ad una forma di guerrilla marketing estremo - settimane durante le quali lui le diede tutto il supporto morale e materiale che gli fu possibile, dato che si sentiva responsabile di quanto le era accaduto - erano innamorati cotti l’uno dell’altra e, da lì a un mese al massimo...
Da lì ad un mese al massimo, per quanto potesse sembrare impossibile per un single duro e puro come lui, che considerava il matrimonio una trappola pericolosa - mortale, quasi - si sarebbero sposati.
Lui la amava pazzamente perché la trovava bellissima, dolce e di una prontezza mentale unica, e, in parte, sentiva di averle rubato due mesi della sua vita – anche se, in realtà, e in fondo ne capacitava, glieli aveva regalati – lei perché pensava che Daniele fosse un genio assoluto.
In fondo, non aveva inventato uno strumento capace di trasportare la materia vivente ed inanimata, insieme nel tempo e nello spazio?
In verità, no...
Lui sapeva di non avere inventato un bel niente.
L’Ipercubo era una realtà pre-esistente all’ingegno umano, e, più in particolare, al suo ingegno, con regole sue proprie che avrebbero funzionato comunque e dovunque. Soprattutto, pareva che, per le persone, viaggiare nel tempo grazie all'Ipercubo, fosse necessaria una perdita di brevissima durata delle funzioni motorie coscienti (così come appunto avveniva quando si inciampava). Ma Daniele confidava che qualcuno avrebbe risolto la questione... E, poi, non era più un problema suo... Sì, insomma, la sua definizione di “Architetto della Serendipità” pareva quanto mai calzante...
La realtà dell'Ipercubo trascendeva dalle sue normali capacità di ragionamento - per la verità, pensava che pure se fosse stato un matematico avrebbe avuto difficoltà - e, da ogni punto di vista, la sua era una scoperta da Principe di Serendippo.
Il segno, a ben guardare, l’aveva lasciato, e, poi, se fare centro nel bersaglio sbagliato significava avere trovato la donna della sua vita, in fondo, che importanza aveva?
Fine.
P.s.: ai pochi che conoscono il racconto da cui ho attinto a piene mani, “And He Built A Crooked House”, del mitico ed unico Robert Heinlein, forse questo parrà un plagio... Credetemi, non lo è: questo testo appartiene a quella forma di scritti che sono assieme un atto di amore e di abnegazione, né più, né meno. Provate a leggerlo – lo si trova facilmente on line perché i diritti relativi ne permettono la pubblicazione integrale sui siti degli addicted di science fiction - e capirete cosa intendo…
Arrivederci nella quinta dimensione!
Ciao!Sono tornata da pochi giorni dalla Puglia, ho appena avuto tempo di leggere il tuo racconto! Bello, continua così! Spero che tu stia meglio ora e volevo farti gli auguri (in ritardo, lo so) per il tuo compleanno (era il 4 agosto, vero?=))...a presto spero! baci by marlene86
Scritto da: marlene86 | 13/08/08 a 21:24
ciao piccola!
sei dolce come sempre!
sì, era il 4 agosto, e, per la miseria, ormai sono 36 (t-r-e-n-t-a-s-e-i!)...
sono in Toscana, e pe' dirla comme la di'ono qui: "oramai
so' veccchio"!
grazie ancora, cmnq, sei gentilissima!
(il tuo compleanno invece quand'è?)
baci, tesoro!
p.s.: sono contento che il racconto ti sia piaciuto, è un buon segno... devi considerare che mi è stato chiesto di scriverlo dalla mia azienda per il 25-ennale... la direzione ha deciso per un book atipico: invece del solito lavoro consistente in una raccolta di foto di nostre realizzazioni, hanno fatto una scelta "diversa", ovvero quella di pubblicare un book con uno - o piu', non so ancora - racconti "a tema"... credimi, visto il settore in cui lavoro, rendere interessante la nostra attività non mi sembrava per niente facile (nn nel senso che a me non mi piaccia cio' che faccio, al contrario, nel senso che è un lavoro
molto "settoriale", e già farsi capire senza nominare direttamente la mia azienda, ne' l'associazione che raccoglie le aziende come la mia, ne', infine, nominare direttamente "il cliente" - ma solo dare ad intendere chi fosse - nn è stato per nulla facile)...
avevo timore di fare una frittata inutile ed insapore (pe' no' dire 'na volgarata, e parlare d'un altro e piu' fetido tipo di frittate), invece, tra il tuo commento e quello del _vero_ Architetto Capo della mia azienda, sono rimasto esterrefatto!
mah, menosmalos!
ri-baci piccola (alla facciaaaaa del piessseeeeee!)!!!
;-)
Scritto da: asmodeo | 18/08/08 a 20:16
Oddio, il tempo passa, neanche me ne rendo conto...comunque 36 non sono tanti! Divertiti molto in Toscana! Il mio compleanno purtroppo è in dicembre, il 12 e quest'anno saranno 17! Non riesco nemmeno a rendermene conto!!! Comunque hanno avuto una bella idea nella tua azienda, scrivere dei racconti a tema è un'idea carina e interessante! Poi se trovano gli scrittori come te!=) spero di sentirti presto buone vacanze! baci by marlene86
Scritto da: marlene86 | 19/08/08 a 23:02
Ciao, prometto, ci sentiremo presto...sono 2 gg a Torino per lavoro...finito quello che devo fare d'urgenza andro' in montagna (3-4 gg, spero), e poi l'ambaradan tornerà il solito.
cmnq, in che senso "non riesci a rendertene conto?" non dirmi che a 17 anni ti senti già "vecchia"!
sei poco piu' di una bambina...
(c'è da dire però che io a 17 anni mi sentivo già adulto, e come mi facevano incazzare quelli che dicevano il contrario!)
in ogni modo, appena posso ci sentiamo!
baci,
Davide.
Scritto da: asmodeo | 20/08/08 a 10:45