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- § 7
I pensieri mulinavano veloci. Porcavaccabaldracca, non ci aveva mai pensato prima nei termini in cui ora stava vedendo quanto era accaduto.
Si stava spremendo le meningi per convincersi del contrario, ovvero del fatto che quanto era appena accaduto non avesse nulla di irrazionale, ma, a ben guardare, coincidenze, concatenazioni, sincronicità, finalismo e determinismo avevano assunto, nelle esistenze sua e di suo fratello, e a partire proprio da quello schianto, dei caratteri tali che, analizzandole a posteriori, pareva di contemplare una coppia di attori obbligati a recitare in ruoli che il destino aveva riservato appositamente loro.
Uno sguardo sommesso, un riconoscimento taciuto e un consiglio non richiesto.
No, cazzo, non poteva essere.
Voleva fuggire da quel tipo di pensiero, e, nel tentativo di farlo, si stava rendendo conto di come da quella sera, "dalla sera del massacro dell'Angelo Caduto", come la chiamavano lui e suo fratello, era derivata una serie di eventi che, ora che li guardava svolti davanti a sé con gli occhi della mente come se fossero stati impressi su un rotolo di pergamena, parevano così evidentemente concatenati che solo un idiota non se ne sarebbe potuto rendere conto. Tutto era così follemente irrazionale che lo sguardo sommesso, il riconoscimento taciuto e il consiglio non richiesto, valutati assieme e confrontati alla pergamena della sua esistenza, sembravano la penultima tessera di un puzzle che una qualche divinità malvagia e maniacale ("malvagiamente maniacale", pensò), avesse collocato al suo posto. Cosa sarebbe derivato dalla collocazione dell'ultimo tassello non osava pensare. Ricordò le parole che urlò dopo la cinghiata che si era preso, e, ancora meglio, ricordò le parole che ricevette in risposta da suo padre. "Daniele non c'entra niente! Non fargli male! E' solo colpa mia! Gli ho nascosto io il suo giocattolo sotto la cristalliera per fargli dispetto! Non è colpa sua! E' colpa mia!", aveva gridato a pieni polmoni, furente di rabbia più che spaventato dal sangue che sentiva colargli in faccia. "Sì, è così? Allora ti prenderai il resto del tuo e quattro le volte le cinghiate che avrei dato a lui", aveva risposto suo padre senza alzare la voce nemmeno di un'ottava.
E così era stato. Dopo le altre 3 cinghiate di prammatica, per un totale di 4, le 4 spettanti in casi di violazioni gravi o gravissime, se ne prese altre 8, il quadruplo di quelle che sarebbero spettate a Daniele per violazioni lievi. Suo padre aveva capito che stava proteggendo Daniele, ma non gliene era importato un cazzo. Anzi, dato che aveva voluto prendersi la colpa di tutto, avrebbe pagato per sé, per Daniele e per avere avuto l'idiota idea di fare l'altruista. Perché la filosofia di suo padre era quella: "L'altruismo non paga. L'altruismo è degli idioti. E lo capirete crescendo". Perversamente coerente come sapeva essere, gli aveva dimostrato che la ragione è dei forti e l'altruismo degli stolti. Non lo aveva ridotto da buttare via, ricordò ancora, solo perché era stato abbastanza intelligente da farsi dare le altre cinghiate di schiena. Alla fine suo padre lo aveva dovuto portare in ospedale, ma pensava che, se non fosse stato per sua madre, si sarebbe dovuto arrangiare con cerotti e tanto, tanto, tanto Lasonil, come sempre faceva. Quel bastardo di suo padre lo aveva sfregiato, cazzo, lo aveva sfregiato, e non c'erano state conseguenze di nessun tipo: né ufficiali né ufficiose. Per fortuna, pensò di nuovo, era miope già allora, pertanto gli occhiali che portava avrebbero mascherato perfettamente la cicatrice a forma di saetta che gli sarebbe venuta sulla parte sinistra del naso, e che fin da subito era parso un brutto taglio. Ora ricordava che, se sue madre non avesse sbroccato, vedendolo sanguinare dal viso, con dei lividi sulla schiena che subito erano divenuti di un viola cupo dove la fibbia della cintura aveva colpito, e non avesse avuto una crisi emotiva così violenta da svenire dopo cinque minuti di urla isteriche e minacce, di certo suo padre non lo avrebbe portato in ospedale. Sua madre aveva intimidito suo padre in un un modo che gli era stato impossibile comprendere, perché aveva usato un linguaggio così scurrile che Andrea aveva colto sì e no un decimo del flusso di urla folli con cui lo aveva subissato. Lui l'aveva guardata con la condiscendenza con cui si guarderebbe un cane rabbioso di taglia minuscola che ti abbaia contro, ma poi era accaduto l'impensabile. Sua madre aveva avuto un attacco di epilessia, ed erano quattro anni che non ne aveva. Suo padre, rammentava, gestiva i suoi attacchi con assoluto autocontrollo, ma a spaventarlo quella volta era stata la catalessia in cui lei era piombata, all'improvviso, passando da uno stato convulsivo ad uno catatonico senza preavvisi. Era sul bordo del letto, voltata di fianco, con in bocca, per impedirle di mordersi, non la cintura con cui l'aveva pestato, ma una diversa, presa dal primo cassetto in basso del comodino, e nella caduta a peso morto che era seguita alla catalessia si era ferita la testa battendo sullo spigolo vivo del cassetto aperto. Si era fatta un brutto taglio sulla fronte, che, come tutti i tagli sulla fronte, aveva sanguinato in modo esagerato. Solo allora parve ad Andrea di vedere un guizzo di paura nei suoi occhi, solo allora suo padre gli parve per quello che era: una persona così brutalmente sconfitta dalla vita che nemmeno si è resa conto di essere stata annientata dalla sua stessa indole violenta. Come se stesse facendo loro un regalo, dopo avere preso in braccio sua madre disse loro di seguirli. E di tacere. Non capì dove stessero andando fino a che sua cugina Cristina, di dieci anni più grande di lui, li accolse trafelata e scossa sulle soglie del pronto soccorso del Mauriziano. L'aveva avvisata col telefono che aveva in macchina, raccontandole solo ciò che aveva ritenuto opportuno dirle. Non ricordava bene il lavoro di Cristina, ed era troppo intronato per capire chi fosse la Cristina con cui suo padre stava parlando. La riconobbe solo quando la vide. L'angoscia ne aveva deformato i lineamenti, ma la riconobbe. Grazie agli agganci del cazzo si suo padre non era partita nemmeno una denuncia dal personale ospedaliero. Sapeva, da adulto, che Cristina dovesse avere tentato qualcosa contro suo padre, ma, anche se una denuncia era partita, era stata immediatamente insabbiata. Cristina amava sua madre come una sorella, ma non era bastato.
Un mese dopo essere stata dimessa dall'ospedale, sua madre aveva avviato le pratiche di divorzio. Era il 1983, e tanti avvocati almeno quanto tanti giudici erano ancora rivolti a priori alla conservazione della famiglia e alla colpevolizzazione della donna. Ci vollero due anni prima che suo padre acconsentisse al divorzio.
Nel 1985 erano stati affidati a sua madre, ma sua padre era riuscito a manipolare gli eventi a tal punto che sua madre ottenne come sostegno il minimo necessario per mantenerli. Lui e suo fratello non erano mai stati interpellati da nessuno: né da un giudice né da uno psicologo, e questo la diceva lunga su come doveva essere andata. Nel 1982 la P2 era stata sciolta ufficialmente ma aveva ancora dei potentissimi strascichi, nel 1984 iniziarono a circolare le prime voci pubbliche su Gladio, e da ciò che aveva saputo del "Colonnello" in età adulta da Daniele, all'epoca aveva le mani in pasta in entrambe le faccende talmente a fondo da essere un perfetto intoccabile.
"Credo che nostro padre sia una perfetta esemplificazione di come il potere assoluto possa corrompere in modo assoluto", aveva detto a Daniele una volta, e questi, che spesso lo sfotteva per il suo linguaggio forbito e la sua tendenza a sputare sentenze, aveva risposto: "Non avrei potuto dire meglio".
Daniele si era meravigliato con lui del livello di classificazione dei files cui suo padre aveva avuto accesso in più e più occasioni. "Credimi, quell'uomo teneva per i coglioni centinaia di individui", gli disse una sera, a cena a casa sua, con un atteggiamento così esterrefatto da sembrare approvazione. A lui l'idea repelleva, ma non ne aveva fatto cenno a suo fratello, dato che quel mondo pareva contemporaneamente affascinarlo e fargli schifo. Lo conosceva abbastanza da sapere che lo schifo sovrastava di gran lunga la meraviglia, ma era indubbiamente allibito dal ruolo che il loro padre aveva avuto fino a che era entrato in pensione (e che di certo in parte aveva ancora).
Avrebbe potuto dare alla sua ex moglie degli alimenti tali da farle fare vita da benestante, ma era riuscito a fare sì che fosse obbligata a lavorare per garantire loro e a sé stessa un livello economico appena oltre quello della sussistenza.
Sei mesi dopo, sua madre era stata arrestata per detenzione e spaccio di cocaina. Andrea e Daniele erano troppo giovani per capire, ma da adulti era venuto loro il sospetto che fosse stata incastrata da suo padre. Ricordò il fine settimana in cui suo padre li era venuti prendere per tenerli con sé due giorni, poco prima che la arrestassero, e, chissà perché cazzo, capì la frase con cui si erano congedati lei e suo padre solo in quel momento: "Mi auguro solo che tu non ti spinga troppo oltre". Come se avesse saputo che stava lavorando in modo sotterraneo per procurarle dei danni e toglierle l'affido suo e di suo fratello, ma, contemporaneamente, gli stesse chiedendo di avere pietà.
Pietà che lui non le concesse, si poteva presumere, dato il modo in cui erano andate le poi cose.
Due mesi dopo sua madre veniva brutalizzata dalle sue due compagne di cella; un mese dopo veniva trovata morta suicida, impiccata ad un portasciugamani che si trovava a 115 cm da terra. Se avessero saputo la verità allora - suo padre aveva detto loro che era morta in cella per un attacco di cuore - quasi di certo le loro menti si sarebbero disgregate. Solo al compimento della maggiore età di Daniele, suo padre, il cui costume divenne, fin da quando li aveva portati al collegio militare, quello di farsi vedere solo in occasione dei compleanni, disse loro la verità. "I 18 anni più merdosi di sempre", aveva detto suo fratello, che però era aveva avuto una tale assenza di reazioni palesi da essere sembrato glaciale peggio di suo padre. Lui aveva quasi perso il controllo, ma quando suo fratello lo aveva pregato di "non rovinargli la festa", guardandolo come mai lo aveva guardato, si era dovuto frenare. Sembrava gli stesse dicendo: "Calma, tempo al tempo, ora non possiamo fare nulla", e, in effetti, aveva ragione. Il bastardo di suo padre era armato, e con lui si sapeva dove si cominciava ma proprio non si poteva prevedere dove sarebbe andata a finire. Andrea era poi andato in depressione per circa un anno, ma quello era un altro discorso.
Nessuno fu inquisito mai, nessuno parve porsi nemmeno dei dubbi su suo padre o il ruolo che avrebbe potuto avere nella vita della loro madre dall'arresto in poi. Daniele aveva indagato, così gli aveva detto, senza cavarne un ragno dal buco.
Dopo la morte di sua madre, lui e suo fratello furono quindi portati in un collegio militare a Milano, un cazzo di luogo di abiezione dove fu costretto a diventare qualcuno di totalmente alieno da sé per difendersi, e, soprattutto, almeno durante il primo anno, difendere Dennybboy. Poi le cose cambiarono, e Dennybboy cominciò a difendere lui. Aveva quattro anni in meno, ma dopo un anno di soprusi da corpo docente e compagni, studi indefessi ed arti marziali praticate con dedizione, divenne una piccola roccia. Ed era così temuto, brillante ed autorevole che, malgrado la differenza di età, nei 3 anni che trascorse da solo non ebbe più alcun problema.
Le loro sorti erano state scritte nel libro della sorte da quello stronzo di suo padre, ma se pensava al modo in cui era nato tutto, sincronicità, predestinazione, determinismo e concatenazioni acausali assumevano dei contorni insondabili. Nulla sarebbe potuto essere diverso da com'era, e tutto grazie a quel cazzo di angelo e al modo impossibile in cui era caduto. Trenta cm a roteare sulla sua stessa base, dirigendosi verso il bordo della cristalliera, evitando ostacoli senza nemmeno sfiorarli, seguendo una traiettoria zigzagante e poi spiccare il volo come aveva fatto, sembravano impossibili fisicamente. In particolare, il percorso seguito fino al bordo della cristalliera e la forza impressagli dalla forza centrifuga non avevano avuto nulla di possibile in un mondo dove la gravità, la forza centrifuga stessa e l'energia cinetica erano forze costanti e non variabili.
L'esito sulle loro esistenze fu inevitabile.
Andrea divenne misantropo, cinico, asociale, nichilista, chiuso in sé stesso, un maniaco del controllo emozionale incapace di abbandonarsi con nessuno ad esclusione di suo fratello, e sopra ogni cosa, sviluppò un'avversione totale verso ogni forma di autorità, tanto che più di una volta assunse psicotropi in un atto di deliberata sfida verso il sistema, il fottuto mondo e, sopratutto, suo padre; Daniele, invece vedendo in lui coraggio, capacità di sacrificio e amore fraterno incondizionato, crebbe credendo nell'onore, nell'amore, nell'altruismo e nella natura fondamentalmente buona degli esseri umani. Dopo la scuola entrò nell'esercito e divenne un militare esemplare. Terminato il servizio di leva come ufficiale entrò in Polizia. Ottenne risultati brillanti in ambito investigativo, sotto copertura, e pochi anni dopo divenne famoso per essere il più giovane Commissario con Ruolo Direttivo Speciale che il corpo di Polizia avesse mai avuto. Grazie alla sua dedizione, riuscì davvero a fare la differenza in più di una occasione e salvare delle vite.
Lui aveva fatto economia, aveva dato 23 esami su 27 conseguendo la media di 28/30-esimi e a 27 anni aveva sfanculato tutto, ormai del tutto incapace di gestirsi. Erano 7 anni che lavorava e 5 che abusava: decise di continuare a lavorare perché aveva bisogno di soldi, ma la verità era che in quel periodo non avrebbe potuto in nessun modo continuare a studiare. Non era ancora dipendente fisicamente dalla sostanza, ma sua anima era già dannata.
A posteriori, pareva che il destino avesse celermente brigato per metterli, come i pezzi di una scacchiera, esattamente dove si trovavano ora. Era una negazione di ciò che, fino al giorno prima Andrea, in quanto razionale, loico e ragionante (talvolta iper-ragionante) era sempre stato, ma quella giornata aveva i caratteri dell'epifania, e non prendere atto fino in fondo di ciò che lui aveva visto e stava vedendo sarebbe stato come negare la verità di Dio che concede il miracolo della vista ad un cieco dalla nascita... E il cieco dalla nascita sei tu.
Suo padre divenne quasi del tutto assente dalle loro esistenze da quando li aveva messi in collegio, per cui non lo rimproverò per le sue scelte di vita mai in alcun modo. Quanto a Daniele, si congratulava per i suoi risultati professionali dando l'impressione di essere più felice per il proprio pedigree che per quello del figlio. Li vedeva ai loro compleanni, e solo 2 ore ogni volta; si informava sommariamente sulle loro vite private e spariva fino al compleanno successivo.
I pensieri roteavano veloci, sempre più veloci, tanto veloci, si rese conto, da stare per fargli scoppiare la testa. Troppe cose, troppi ricordi (suopadresuofratello, e poracavaccabaldracca , ora purelasuadonna), troppe sensazioni (paurasensodiabbandonosconcertotimore) tutte assieme...
"Che assurdità", pensò. "Che razza di schifosa maledetta assurdità", soggiunse. Stava malissimo - aveva l'impressione di stare per vomitare, farsela addosso e mettersi a piangere, tutto assieme, quando, di nuovo, ragionò su quanto fosse assurda la situazione in cui era.
“Il bello è che, nella merda in cui sono ora... Mi ci sono messo da solo!”, esclamò, tornando a pensare ai suoi assegni (in effetti, c'era una cosa di cui poteva essere grato rispetto allo stato in cui si trovava: era talmente intronato che, al momento, non riusciva a considerarli con seria preoccupazione).
Come poteva avere alterato la chimica e la fisiologia del suo corpo ad un punto tale da farglielo recepire come se fosse stato altro da sé? Era nel suo corpo a soffrire, e, insieme, non c'era. Quali maledette schifate infilavano nella white, perché potesse ridurti a quel modo? Sapeva che era di fabbricazione olandese, sapeva che agiva sui recettori dell'endorfina, sapeva che ai test anti-droga era invisibile, sapeva, soprattutto, di non essere padrone di sé, ma non aveva la minima idea di che cosa fosse. Deprimente e pazzesco allo stesso modo.
(Rimuginò, e, di nuovo, si disse: come poteva essersi messo così ingenuamente ed incondizionatamente in mano di quel folle e bastardo individuo che pareva stare dimostrandosi Zondyke?)
Incapace di gestire il proprio organismo, non più di quanto lo fosse un neonato...
Incapace di gestire la sua volontà, ad un punto tale da doverla demandare a terzi, ma, su tutto, ad un punto tale da aver violato la regola fondamentale che contraddistingueva la sua vita: aver avuto prima di aver dato.
"Io ho dato, per la vacca, e non ho avuto nemmeno una cazzo di pasticca di anti-dolorifico! Non è possibile! Non è possibile!", pensò.
Ripensò, ancora, alla brown sugar, e la rimpianse - così almeno come si rimpiange una magnifica troia dai mille trucchi che, dapprima ti facesse godere nei modi più impossibili, e, poi, ti portasse in giro come un cane. L'immagine di sé stesso portato a spasso al guinzaglio a quattro zampe da Donna Eroina fu così violentemente nitida da elevarsi dal rango di semplice flash mentale a quello di visione reale, così potente che, per distogliersi, dovette chiudere gli occhi, riaprirli e scuotere la testa. "Almeno", pensò, "con la brown puoi metterti ad abbaiare, e, a volte, perfino a scodinzolare... Con la white è tutta un'altra merda... Non hai nemmeno la forza di esistere, cazzo".
E quel maledetto pusher dov'era?
Quanto tempo era trascorso, da quando era arrivato? Si guardò nuovamente attorno, e notò che, salvo il bel biondo e la bella ed apatica bruna che era con lui, che non c'erano più, nulla pareva essere cambiato...
Doveva essere passato poco tempo per forza, forse solo qualche minuto, concluse.
"La Relatività è questo, cazzo, altro che viaggiare alla velocità della luce: basta introiarsi con la white ed ecco che il tempo inizia a viaggiare a velocità diverse", pensò.
In modo accelerato appena hai fatto storie, in modo normale quando sei ancora sotto effetto ma non sei più stonato, in modo atrocemente lento quando sei in carenza. Il paradosso dei gemelli in confronto era una sega.
In quel momento era in una fase a tempo rallentato - quasi fermo, per la verità: in effetti, nel panorama, quasi nulla era mutato. Il ciccione continuava a piangere sempre sul medesimo angolo, e il picchiatello spiaccicato come un aracnide alla vetrata della pensilina del bus era sempre lì.
L'aria era immobile.
Guardò ancora il matto (sì, insomma, quello che pareva il più matto tra i due), e notò che ormai era talmente sudato che pareva essere entrato ed uscito in una doccia vestito.
Arrivò un autobus, e, all'improvviso, qualcosa accadde: scese una fiumana brulicante di gente che subito si dileguò, Claudio l'obeso fuggì da dov'era, blaterando frasi insensate (o, forse, un senso c'era, ma non lui voleva coglierlo, non quel giorno, non era attrezzato per farlo, visto che parve urlare "Ti strapperanno l'anima dal culo! Soffrirai tutto il mio dolore", ma non poteva essere, non voleva dire un cazzo), il picchiatello sudato guardò verso l'alto, farfugliò qualcosa, sorrise con un'assurda espressione che gli fece pensare ad un gatto satollo di panna, aspettò che il pulmann facesse per ripartire, e, proprio mentre le porte scorrevoli stavano chiudendosi, saltò verso le stesse con l'apparente intenzione di prenderlo. Solo che era assolutamente fuori tempo massimo.
Ancor prima di vedere quello che poi effettivamente vide, aiutato dalla dote di famiglia di sapere dedurre le cose tanto velocemente da poter dire di averle predette, sapeva cosa sarebbe accaduto: il tizio si sarebbe incornato, e male. Era partito con un tale ritardo rispetto a quelle che dovevano essere le sue intenzioni (evidentemente, saltare dentro l'autobus proprio all'ultimo istante, mentre le porte si chiudevano, dando prova di coordinazione e riflessi pronti), che non ce l'avrebbe fatta mai. Inoltre, non avrebbe saputo dire se a causa delle sue percezioni temporali alterate o perché una qualche divinità burlona avesse deciso di farsi quatto risate a sue spese, pareva viaggiare a rallentatore.
"Quale delirio si sta consumando nella sua testa?", si chiese Andrea contemplando il demente volante, e, al di là di ogni previsione sonora possibile, sentì un botto violentissimo.
BBBAAAAAMMM!
Il demente volante aveva urtato le porte chiuse del bus col lato destro del volto, producendo uno schiocco così sonoro, notò Andrea, che doveva per forza essersi rotto la mascella. Come era prevedibile, dopo un assurdo istante in cui parve rimanere appiccicato all'autobus, come il personaggio di un cartone animato, la gravità e la legge che vuole che ad ogni azione corrisponda una reazione ad essa proporzionata, fecero il suo corso, precipitandolo a terra di rimbalzo e facendogli produrre un altro sinistro rumore di ossa rotte.
"Non può essere successo", pensò, non poteva essere che qualcuno fosse così idiota!
Ebbe l'impulso di ridere, ma, quando vide il demente - ormai non più volante - a terra che sanguinava dalla bocca e dalla nuca (cadendo aveva battuto la testa sul selciato, poco distante dal bordo della panca della pensilina da cui s'era catapultato, e su cui, se avesse battuto il cranio, sarebbe morto), l'autista del bus che, con deliberata indifferenza se ne andava (non poteva non essersi accorto di quanto era accaduto, specie perché a bordo l'incidente pareva avere generato notevole confusione) e Claudio l'obeso che a pochi metri da dove era partito si era messo a urlare in modo sconclusionato, lo sconcerto gli tagliò le gambe. Perfino il suo solito cinismo si dissolse come trementina al Sole.
Sentendosi come se fosse in un sogno, scese dall'auto e fece per andare verso il luogo dell'incidente - come era prevedibile, nessuno stava facendo nulla, nessuno si prendeva la briga di sollevare il ferito, o anche solo rivolgergli la parola - solo Claudio urlava, oscillando su sé stesso, quando arrivò Marco, che stranamente, sembrava preoccupato per quanto era accaduto. La sua presenza lo riscosse. Ne studiò lo sguardo e, per un attimo, pensò che la sua reazione fosse dettata da altruismo, ma poi si rese conto, notando come si guardava attorno con un'aria da animale braccato, che l'unica sua preoccupazione fosse darsi, e darsi il prima possibile.
Lo salutò con un sorriso tirato, salì sulla sua auto e gli disse: "Andiamo via Andrea, qui non va bene".
"Aspetta, c'è una persona che si è fatta male", disse Andrea, ma Marco, con una fermezza notevole, gli fece cenno di no con la testa e gli ribadì di risalire in macchina, alzando leggermente la testa verso sinistra in un gesto inequivocabile. Quando furono entrambi seduti in auto, risollevò il mento, gli pose una mano sulla spalla e gli fece cenno con un dito senza alzare la mano dalla coscia su cui era appoggiata di guardare in fondo alla via: lì ferma c'era una volante della Polizia. Guardò la volante, guardò il ferito, ebbe uno spasmo nervoso al volto e partì. Per non dare l'impressione di stare scappando si allontanò con estrema calma, quasi a passo d'uomo.
Era snervato, debole e ottenebrato, ma, malgrado ciò, si sentiva indignato, e così aveva acceso il motore e se ne era andato controvoglia.
Era indignato dall'indifferenza altrui, dalla sua situazione, così disgraziata da non potergli permettere nemmeno di soccorrere un ferito, poiché questo contrastava con le aspettative del suo pusher, era schifato dal porco mondo schifoso che sotto i suoi piedi continuava con indifferenza a ruotare attorno al Sole, mentre, cazzo, si sarebbe dovuto fermare per pudore... Di più, fermare, e piangere, perché se la sua stessa persona, il demente volante e Claudio erano un campione di umanità, qualcuno, a livello cosmico, doveva proprio avere cannato qualcosa, ma niente, un cazzo di niente era cambiato. Perfino Claudio continuava ad urlare e la Polizia continuava a stare ferma.
"Senti: fammi almeno chiamare un'ambulanza... Non è detto che quella volante della Polizia aiuti quel poveraccio", disse (e, il quel momento, si rese conto che poteva benissimo essere, dato la Polizia non era mai celere nell'aiutare i derelitti), e un'ondata di nausea lo stordì.
"Non serve: quel ragazzo fa sempre così... E'... Come si dice, è 'fou', capito?", ribatté Marco, storcendo comicamente gli occhi e facendo ruotare in modo emblematico l'indice vicino alla sua tempia.
"Fa sempre così?", pensò e gli venne da ridere, ma, lo sapeva, se avesse cominciato a ridere non si sarebbe più fermato e Marco avrebbe di certo pensato che lo stava sfottendo. Gli uomini di cultura araba erano quasi tutti privi di senso dell'umorismo e lui non faceva eccezione.
Un sorriso fatto male gli contorse la faccia. Si doveva contenere, per il suo bene, poiché era su una china quantomeno pericolosa: non aveva soldi, e, lo sapeva così come ogni heavy abuser lo impara a sue spese dopo un paio di dolorose mazzate, contraddire o fare alterare un pusher ridendogli in faccia in situazioni come quella non era affatto saggio.
Ma come poteva esimersi dall'aiutare quel disgraziato? Soccorrerlo di persona era fuori discussione, però...
"Sarà anche scemo, o 'fou', come dici te, ma si è fatto male... Mi fermo ad una cabina e chiamo un'ambulanza, ok?, il mio cellulare è morto", chiese timidamente (la voglia di ridere, nel frattempo, era tornata ed essere voglia di piangere).
Stranamente, sorprendendolo, Marco parve non solo approvare quanto stava facendo, ma lo guardò con asserzione (ammirazione, aveva pensato per un attimo, ma non era tipico della professione ammirare le proprie vittime sacrificali), e, contro ogni sua aspettativa, rispose: "Va bene, veloce... Fai veloce, ok?".
Si avvicinò trotterellando alla cabina che vide ad un angolo, già compiacendosi per i punti che aveva appena guadagnato, chiamò un'ambulanza spiegando cosa e dove fosse accaduto e risalì in auto.
Era tranquillo, ma, soprattutto, era goduto, come quando, a Poker, sapeva fuor di dubbio che avrebbe vinto una mano: ormai era sicuro, al cento per cento, che Marco non gli avrebbe negato quanto gli stava per chiedere.
...
Segue...
ciao...complimenti x il seguito di Sepolcri Imbiancati...comunque ho 2 curiosità? come mai hai scelto questo titolo? e quante puntate ha? Sono comunque molto curiosa di vedere il seguito..ora devo andare, vado a comprare il biglietto x il concerto dell'Heineken Jammin' festival! Vado a vedere gli Iron Maiden!!! Evvaiiii!!!ciao ciao...by marlene86
Scritto da: marlene86 | 10/05/07 a 14:08
Grazie dei complimenti, ragassuola.
Il titolo deriva da quello che i protagonisti del racconto, tranne uno, sono: "Sepolcri Imbiancati" (e quell'uno non è Andrea, ma suo fratello).
Nel mito cristiano, fu Gesù, riferendosi proprio all'usanza di allora di imbiancare i sepolcri, che invento' l'espressione...
Essa indica forme grave di ipocrisia.
E Andrea, visto i danni che farà...
Ma ti rivelerei troppo!
Cmnq, giuro: dal momento che il mio metodo nello scrivere è l'assenza di metodo (parto da vaghe tracce e le seguo, non mi imposto una storyline), non ho un granché idea di quanti paragrafi manchino alla conclusione di questa storia.
So solo che volevo scrivere un raccontino e mi sto trovando per le mani un "romanzo breve" (bum!).
Ciao piccola, a presto!
Davide.
Scritto da: asmodave | 10/05/07 a 18:31
Ah!
Auguri per il tuo concerto!
Potessi andrei anch'io, ma in quel periodo sono incasinaterrimo...
Baci!
Davide.
Scritto da: asmodave | 10/05/07 a 18:32