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Cingular |
- 14/01/07
- § 6
Andrea ricominciò a sentire i tremori sismici che prima gli erano esplosi in pancia, i sintomi iniziali più eclatanti del Vecchio e Fedele Bruciore Freddo, con cui non avrebbe mai imparato a convivere.
In risposta al nuovo terremoto che si consumò nel suo stomaco, i suoi nervi, brutalmente esposti dalla mancanza di droga, si fecero sentire con ottusa ferocia.
Ed era appena cominciata...
“Cazzo!”, esclamò.
“Le concediamo unicamente una cura sintomatica”, aveva detto Zondyke.
Ogni cazzone di tossico che avesse avuto un minimo di cervello avrebbe capito che era solo un fottuto eufemismo per dire che avrebbe sofferto come un cane.
Chiuse gli occhi, e vide l’immagine che puntualmente affiorava quando era in crisi emotiva profonda: un angelo di cristallo precipite, che, cadendo, ruotava con grazia.
Era strano come i ricordi catturassero certi elementi...
A volte, con certi ricordi specifici (particolarmente dolorosi o particolarmente tristi), sembrava che la sua mente avesse avuto la capacità di agire come agiva l’ambra, quando, colando su un insetto, lo incastonava per sempre nella posizione in cui lo catturava.
Niente affatto strano era invece il motivo per cui quel ricordo, nella fattispecie, stesse affiorando in quell'istante: significava che, a livello interiore, doveva essere messo parecchio male.
Al momento, però, avrebbe preferito evitare di ricordare quei ricordi il più possibile, per quanto difficile sarebbe stata: quando quel film partiva, non c'era cazzo di fermarlo.
E, così, resosi conto di avere la soluzione in mano, aveva chiamato il pusher (ovviamente, senza menzionare il modo in cui intendeva pagarlo); aveva saputo che il pusher c’era (era strano: non cominciava a “lavorare” mai prima delle 18.00, nemmeno avesse chissà quale cazzo di contratto con la sua clientela); infine, aveva concordato col pusher che si sarebbero incontrati al solito posto (che, schifo, pena, dolore e disgusto, come sempre, essendo piazza di spaccio per altri sei o sette neri africani come lui, sarebbe stato di certo affollato di tossici questuanti). La batteria del celllulare stava per esaurirsi, e anche questo lo preoccupò, dato che non s'era portato appresso il caricatore da automobile.
L’angelo continuò a roteare, e, poi, in un boato rimbombante, colpì il tavolo di cristallo su cui aveva deciso di suicidarsi.
Quanti anni dovevano avere, all'epoca, lui e suo fratello?
Se non ricordava male, lui, dieci, e, dato che suo fratello era del 1976, sei...
In effetti, se ormai erano in grado di organizzarsi una caccia al tesoro ad indovinelli, dovevano essere piuttosto grandi. Non oltre i due metri e mezzo se messi l’uno sull’altro, certo, ma abbastanza grandi da essere puniti da suo padre (e puniti duramente, come fu, con la solita forza e la solita crudele efficacia che lui sapeva mettere in quelle cose).
Si rese conto, con costernato orrore, che gli occhi di suo padre e gli occhi di Zondyke si somigliavano: occhi che parevano normalmente senza interesse per ciò che li circondava, occhi al tempo stesso intensi e glaciali, impersonali e rapaci.
Il che, capì a livello conscio (dal momento che a livello inconsapevole c'era già arrivato), spiegava perché quel ricordo stava riaffiorando in quel momento: il fuoco freddo che languiva negli occhi di suo padre era lo stesso fuoco gelido che giaceva negli occhi di Zondyke. Era stata l'associazione inconscia tra quegli sguardi, così freddi, e, assieme, così taglienti, che aveva innescato la proiezione infra-cranica di cui sarebbe stato unico ed obbligato spettatore.
Vide un corvo volare in cielo, lo sentì gracchiare con un acume sonoro spaventevole, come se non fosse stato a 20 metri da lui, ma sopra la sua testa, e rabbrividì. Dopo qualche respiro profondo si calmò, e, proprio quando cominciò a pensare di avere riconquistato il dominio di sé, rabbrividì ancora, più forte.
“Cazzo!”, esclamò di nuovo e, poiché avvertiva la situazione in cui s'era cacciato assieme disperante e ridicola, prese a ridere in modo sconnesso. Si rese conto che solo i nervi scarnificati dall'assenza di droga potevano spiegare perché fosse in grado di percepire elementi come quello (sentire il verso di un corvo a 20 metri come se ce lo avesse appollaiato sulle spalle a gracchiargli nelle orecchie), e il constatarlo aggiunse agitazione ad agitazione.
La proiezione infra-cranica continuò, con l'usuale precisione che era solita dimostrare ogni volta che cominciava: si rivide, mentre, nella salopette verde a righe imbottita che gli aveva regalato sua madre il giorno prima, si metteva davanti a suo fratello nel tentativo riflesso di proteggerlo dalla cinghiata destinatagli, col risultato primario di beccarsela lui, in piena faccia, sul naso, e quello secondario ma ben più peso di fare infuriare ancora di più suo padre, che, quando li puniva, era uso mettere la stessa precisione e lo stesso ordine maniacale che, aveva poi capito con gli anni, metteva in ogni aspetto della sua esistenza che abbisognasse di ferocia. Che suo padre lo avesse voluto o meno, la prima scudisciata era stata tanto violenta che gli era rimasta una cicatrice. La sua fortuna era che, avendogli segnato il fianco sinistro del naso, ed essendo lui miope da quando aveva dodici anni, gli occhiali l'avevano sempre mascherata. Certo il sangue che aveva preso a colare copioso non aveva spaventato suo padre nemmeno un po'.
Dio, che caterva di botte si era preso!
Ricordò, col dolore di sempre, che, alla seconda cinghiata, si era orinato addosso.
Per fortuna, pensò in quel momento, suo padre era talmente incazzato e determinato dal dovere portare a termine ciò che aveva cominciato che non doveva essersene accorto. Si fosse reso conto che suo figlio aveva avuto l’ardire di pisciarsi sotto durante una delle sue lezioni di vita, lo avrebbe probabilmente conciato da buttar via.
Ricordò suo fratello, dietro di sé, atterrito, e di come stesse tremando come una foglia.
Ricordò come riusci a fare sì che suo padre non alzasse un dito su di lui, ma cazzo se l'aveva pagata.
Quando sua madre lo vide, al suo rientro, a mezz'ora dal casino che era successo, dette letteralmente i numeri.
E dire che quella mattina era cominciata come una mattina dall'apparenza perfetta... Era quasi Natale, ricordò, e i suoi, uscendo, avevano lasciato lui a badare a Daniele, suo fratello minore, invece di chiamare la solita tata, perché oramai era abbastanza grande da poterlo fare. L’albero di Natale ed il presepe erano, grazie al loro intervento, più belli che mai, e l’assenza dei genitori avrebbe consentito loro sia di papparsi bombe al cioccolato ad oltranza, sia ricominciare la gara di rutti che avevano dovuto interrompere il giorno prima a causa della minaccia della loro baby-sitter di raccontare tutto a suo padre (la stronza sapeva bene come ricattarli e manipolarli, non c’era che dire). Soprattutto, poi dovevano scambiarsi i regali, quindi l’idea di organizzare una caccia al tesoro era stata immediata.
Se, solo, per il Donkey Kong Nintendo che aveva intenzione di regalare a suo fratello avesse scelto un nascondiglio diverso, quante botte si sarebbero risparmiati...
E, invece, l’aveva infilato (bene impacchettato sotto diversi strati di carta stagnola) nel vaso cinese dietro il tavolo di cristallo a lato del televisore, davanti al mobile dove c’era la sconfinata collezione di Swarovski di sua madre.
Giunse ad un semaforo, e, di nuovo, chiuse gli occhi.
E, di nuovo, l’angelo roteò, roteò e roteò, e, ancora, come una bomba, esplose, facendo a sua volta esplodere il tavolo che aveva colpito.
Com’era accaduto, esattamente?
“L’angelo gli fa la guardia, proteggendolo dal dragone”, diceva il suo indovinello, l’ultimo indovinello che il piccolo Daniele avrebbe dovuto risolvere. Paradossalmente, si era dimostrato più difficile per lui risolvere i piccoli enigmi ed interpretare i disegni di suo fratello che per suo fratello risolvere i suoi, ma questo perché se lui era un bimbo sveglio, Dennybboy era un missile. Rammentare questo particolare, come sempre, lo riempiva di orgoglio e gli faceva sentire la necessità di proteggerlo più che mai, anche ora che erano adulti. Era un bene per il mondo che Daniele esistesse, da sempre facesse il suo lavoro con passione e dedizione, e, contro ogni stereotipo che ci si poteva costruire sulla Polizia come cittadini comuni - lui perfino ne aveva - fosse stato davvero e più di una volta in grado di fare la differenza. Unicità meravigliose come la sua andavano preservate.
Come era prevedibile, Daniele aveva capito immediatamente dove andare a cercare – non c’era da meravigliarsi, pensava ora, se avesse scelto di fare lo sbirro: in fondo, ce l’aveva nel sangue.
E poi?
E poi, che era successo?
Il danno, rammentò, non l’aveva procurato direttamente il ritrovamento dell’ambito e sperato gioco, era stato l’assurdo modo in cui Daniele si era messo ad esultare...
Mentre elucubrava ricordi, si rese conto, con non poca meraviglia, di essere arrivato alla piazza del gancio. Non aveva guidato lui, era stato il suo pilota automatico. Il cellulare, sfiga delle sfighe, aveva la batteria quasi completamente andata. Telefonò al tipo per dirgli di raggiungerlo per il rotto della cuffia: dopo che si misero d'accordo su dove esattamente incontrarsi, la batteria morì del tutto.
Merda. No telefono, no chiamate di sollecito, e questo poteva essere un male, con un un tizio che dava a 5 minuti lo stesso valore di una mezza ora.
Si guardò attorno, e, purtroppo per il suo già martoriato stato d’animo, costatò che la piazza in questione era più desolante che mai.
Se avesse dovuto credere al fatto che la droga fosse circondata da tabù, magie e maledizioni, come taluno degli appartenenti alla categoria faceva, quanto stava vedendo non era affatto un buon segno.
Appoggiato ad un muro vide che c’era un tossico obeso – lo conosceva: Claudio, gli pareva si chiamasse – che, con la testa nell’incavo del gomito, stava piangendo col trasporto di un bambino di 130 kg, ignorando completamente quanto lo circondava, e, a sua volta, venendo del tutto ignorato; in piedi, sulla panca di una pensilina del bus, spiaccicato uso Spider Man sul cassonetto luminoso di fondo, notò un altro tossico, sudato e tremante (con le braccia allargate e le mani aperte, come se si ritenesse davvero incollato al vetro su cui alitava), e, infine, dall’altra parte della strada, vide ciò che gli creò la maggiore inquietudine, perché pareva del tutto fuori posto: una coppia stranissima. Un ragazzo alto e bello, dall'aspetto ariano e cattivo – cazzo, a dirla tutta, pareva un dio biondo precipitato dal Valhalla a livelli di abiezione indicibile – e, accanto a lui ma tenendo una certa distanza, una ragazza bruna e altrettanto bella, ma con un’aria di apatico sgomento, che la faceva parere la vittima del tutto disinteressata di uno stupro in essere.
D’un trattò, lo scenario variò: Claudio si voltò, lo guardò con una aria umile del tutto incongrua, girandosi come se avesse saputo chi lo stava osservando, e, dopo qualche secondo di troppo, tornò nella posizione in cui era e riprese a piangere; il tossico spiaccicato sul cassonetto luminoso uso Spiderman si voltò con la stesso atteggiamento di Claudio, che pareva sapere, prima di voltarsi, che dietro di lui ci sarebbe stato Andrea; come Claudio, lo guardò per troppi secondi, e, infine, annuì, come se stesse accondiscendendo su una qualche importantissima questione di cui loro tre - lui, Claudio e lo stesso Andrea - fossero a conoscenza; per finire, anche i due tizi fuori luogo lo guardarono con particolare intensità. Il nazista lo odiava, su questo non c'erano dubbi: ebbe l'impressione che cupe ondate di vibrazioni negative lo investissero con in modo quasi palpabile assieme al suo sguardo; la ragazza lo guardava con fissità, ma con un'aria anormalmente assente; poi fece una cosa stranissima, ritraendosi rispetto al vichingo. Assunse un'aria terrorizzata, e, dal labiale, gli parve di capire che dicesse, rivolgendosi proprio a lui: "Ti prego, vattene".
Era la magia oscura della droga, che, suo malgrado, si stava facendo sentire più che mai o, soltanto, era lui che stava dando i numeri? Sì, insomma, cazzo stava succedendo? Stava rincoglionendo del tutto?
No: c’era qualcosa di insondabile, sovrannaturale, terribile e osceno, in quello che stava accadendo, pochi cazzi...
Ma cosa?
D’improvviso, un detto orientale che aveva sentito recitare ad uno spacciatore vietnamita di Bestia d’Oriente con cui aveva avuto a che fare per diversi mesi, gli echeggiò nella mente come se lo avesse accanto (più correttamente, gli rintronò nella testa facendogliela vibrare): “La sventura, come la sorte, ci dà tre segnali: uno sguardo sommesso, un riconoscimento taciuto e un consiglio non richiesto”.
Le palle gli risalirono su per lo scroto. E' una cosa che gli uomini sperimentano nel corso della vita più d'una volta, ma in in quel momento sentì materialmente i testicoli strusciare sui boxer elastici che aveva addosso mentre i coglioni gli si rattrappivano.
Uno sguardo sommesso, un riconoscimento taciuto ed un consiglio non richiesto.
Folle: li aveva per le mani tutti e tre, nello stesso medesimo ordine, come le bruttissime carte di una partita a briscola con la Morte. Lo sguardo di Claudio, colmo di un'umiltà del tutto incoerente rispetto al contesto, ma in apparenza genuina: lo sguardo sommesso; l'occhiata colma di condiscendenza dell'uomo-geco: il riconoscimento taciuto; l'avvertimento dell'alienata: il consiglio non richiesto.
Attonito, ricordò la sua reazione di quel giorno (cazzo, era una frase magnifica, di una eleganza raggelante, piena di fascino e di mistero, quindi non ce la avrebbe fatta a non dare corda al tizio, che in quel momento gli parve assieme un mistico delle droghe ed un maestro Zen): “E, allora”, gli domandò (il “vietcong”, lo chiamavano Andrea ed i suoi insani compari, ora che faceva mente locale), “che dovremmo fare, di fronte a questi segnali?”.
“Di solito non facciamo nulla...”, aveva risposto il viet con il suo strano e pacato accento, “... Di solito, senza rendercene conto, diamo il benvenuto alla catastrofe… Però, il nostro mondo – il mio e il tuo, mi capisci? – non può permettersi di ignorare questi segnali”.
Pensò che, se quanto stava vedendo erano i segnali enunciati, avrebbe dovuto fare qualcosa, ma faticava a concentrarsi...
Ma che cazzo stava facendo?!
Doveva essere uscito di testa.
Sì, si stava rincretinendo.
Non poteva imbucarsi nella tazza smaltata della paranoia con tanta nonchalance. Checcazzo, almeno avrebbe dovuto fare qualche obiezione, tirar fuori qualche controargomento: non era da lui cedere all'irrazionale così in fretta.
Era un uomo loico, non un vietnamita scassato dalle droghe con l'aria di un filosofo cinese appena uscito da una fumeria di oppio perso nei propri delirii persecutori, e, in vita sua, quando aveva ceduto all'irrazionale, era stato perché questo aveva assunto i caratteri dell'incontrovertibilità...
Cercò di sdrammatizzare, pensando che, soprattutto, non aveva voglia di credere a quelle cazzate in quel momento. Non ce ne era il tempo, non quel giorno. Magari avrebbe potuto compiacersi e menarla coi suoi compadres in un'altra situazione, raccontare loro quanto assurda fosse stata quella giornata, ma in quell'istante in particolare doveva riprendere le redini in mano.
(In effetti, brutto cazzone, se te ne vai, da chi andrai ad acquistare? Chi, se non il fratelloBuana-Marco può accettare dell'oro per sì e no novanta, cento euro al massimo, per, in cambio, due buste da settanta euro l'una? Babbo -'stocazzo- di Natale?)
Si voltò, e notò che entrambi i membri della strana coppia lo stavano ancora guardando: lei, che però era tornata a quell'indifferenza di schizofrenico avulso dal mondo che le aveva letto nello sguardo prima che si facesse il numero del labiale (posto che fosse veramente accaduto), e, lui, con una tale cattiveria che l’esito questa volta fu davvero fisico. Cazzo, emanava delle tali vibrazioni negative che l’effetto fu quello di un urto materiale alla base del plesso solare... Infatti sfiatò, come se qualcuno gli stesse facendo pressione da dentro, sul diaframma.
"No! Non è possibile, è paranoia pura, acuta e delirante!", pensò. Certe cose non potevano semplicemente accadere.
E se, molto più facilmente, fosse stata una coppia di sbirri?
I poliziotti sì che potevano fare delle magie del cazzo... Potevano arrestare Marco il pusher, tanto per dirne una.
E allora per cavarlo dalla merda non sarebbe bastato un comune contro-incantesimo: ci sarebbe voluto un cazzo di miracolo cosmico.
Però...
Però, cazzo, quei due tipi non erano sbirri più di quanto non lo fosse lui.
Da quando si era infognato malamente aveva sviluppato come un radar per queste cose, e, per quanto gli era stato dato di riuscire ad evitare in termini di potenziali fastidi e molto probabili arresti, non aveva sbagliato mai.
Ma non poteva essere.
“Attento bambino, che se mi finisci in una paranoia così nera e delirante non ti recuperò mai più”, si disse ad alta voce, cercando di ribadire i concetti che aveva appena tentato di imprimersi nella mente. Aveva bisogno di distogliere la mente da quella serie di coincidenze che gli era parsa una forma di sincronicità ma che, in realtà, voleva credere, non erano un cazzo di niente.
Per la prima volta in vita sua preferì scivolare di proposito nel ricordo che più odiava piuttosto che abbandonarsi a paure così irrazionali, e, così, tornò all’angelo precipitante, alle botte che ne erano seguite, e a compiacersi pensando al modo in cui suo fratello era cresciuto credendolo una sorta di eroe.
Andrea amava già suo fratello maggiore come molti fratelli minori usano fare, ma, dopo quel giorno, in ambito familiare, ai suoi occhi divenne una figura di riferimento più importante del padre, e questo pensiero confortava. In mezzo al tanto dolore in cui era cresciuto, e al dolore più infame in cui aveva sguazzato per sua stessa colpa per anni, suo fratello era come un'isola di quiete e stabilità emotiva.
Com’era potuto materialmente succedere, tanto per dirne un'altra, che l’angelo di cristallo avesse deciso di spiccare il volo in modo deliberato?
Ma certo!
Era successo che Daniele, dopo avere tolto la stagnola e la carta da regalo dall’involucro ed aveva capito che il suo dono era ciò che aveva desiderato per mesi, il Donkey Kong della Nintendo, nella sua mirabile scocca bordeaux, era impazzito dalla felicità, aveva cominciato la sua folle trottola... E aveva continuato a roteare fino a che non aveva inavvertitamente colpito una delle gambe della vetrinetta piena di Swarovski, che si era inclinata una, due, tre volte, per poi tornare repentinamente - quasi con un balzo – nella sua posizione originaria, facendoli, per un attimo, pensare di essere salvi... E, invece, come se fosse entrato in risonanza per un qualche cazzo di incantesimo, quel fottuto castrato di vetro e piombo si era messo a fare una specie di balletto da derviscio rotante che, gli pareva ancora impossibile ora che lo rivedeva con gli occhi della mente, visto che la sua usuale collocazione era almeno a trenta centimetri dal margine esterno del mondo di cristallo su cui aveva vissuto per anni, si era concluso con un fantastico volo carpiato che era parso un salto.
“Secondo me, quel frocio con le ali aveva le palle piene di sentire le telefonate top-secret di papà... Hai idea di quello che deve avere sopportato? Secondo me, ha deciso di suicidarsi apposta”, ricordò che gli aveva detto Daniele a distanza di circa vent’anni da quell’episodio, quando, una sera, notevolmente sbronzi, si erano messi a rievocare le piccole e grandi tragedie e le sole piccole gioie della famiglia Nova.
Aveva riso, allora aveva tanto riso, ma, in quel momento di sensibilità mostruosamente accentuata, era difficile pensare ad una mancanza di finalismo e a come le coincidenze talvolta abbiano dei connotati così sovrannaturali che nessuna statistica contraria potrebbe smentire.
In effetti, era esagerato pensare che, proprio quell’evento in particolare aveva portato lui e suo fratello esattamente dove si trovavano in quel momento?
...
Continua
Ciao Davide! bellissimo il seguito di Sepolcri Imbiancati, mi piace davvero molto. Una frase che mi è piaciuta è stata quella del pusher vietnamita che diceva: "La sventura, come la sorte ci dà tre segnali:uno sguardo sommesso, un riconoscimento taciuto e un consiglio non richiesto". Mi è piacuta da morire!! Presto anch'io scriverò qualche mini racconto sul mio blog, che se avrai voglia e tempo, mi farebbe enorme piacere tu leggessi. A prestissimo, buona fine di giornata baci By Marlene86
Scritto da: marlene86 | 15/01/07 a 18:20
Ciao Marlene!
Grazie, sei gentile come sempre.
Inoltre, considerando che questo paragrafo 6 è stato scritto di "contrabbando" (tra sabato e domenica, di getto, in un'oretta), apprezzo ancora di più...
Cmnq, non voglio attribuirmi meriti che miei non sono: quella frase lì l'ho presa, tel quel, da "Ghost in the shell_2", bellissimo animovie che ho ricevuto in regalo a Natale.
In ogni modo credo - diciamo più che, per una questione di copyright, lo spero - che l'autore della sceneggiatura di detto film, a sua volta, sia debitore verso la tradizione giapponese...
Io l'ho messa in bocca ad un vietnamita, ma l'iniziativa e la colpa sono solo mie (su tutto, ho fatto in modo che coicidesse con quanto accade poco prima: lo sguardo di Claudio, il riconosciemnto tra simili tra il poveretto spiacciacato al cassonetto luminoso e Andrea, il suggerimento della tipa rivolto ad Andrea di andarsene... si capisce?) ...
;-)
Besitos,
Davide.
p.s.: anche a me quella frase è piaciuta da pazzi!
Scritto da: asmodave | 15/01/07 a 18:56