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Zondyke lo guardò per un attimo, dando la netta impressione di stare valutandolo e giudicandolo. “Vuole aiuto? Ma allora lei si sente una vittima della società? O forse addirittura una persona malata?”, chiese questi posando gli occhi su quello che, ne era certo, fosse il suo dossier.
“È l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha definito la Tossicodipendenza Malattia Compulsiva e Recidivante, non io. È l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha definito la Tossicodipendenza una Malattia Cronica e Progressiva. Sono loro che hanno detto che è un male che può essere fermato, o messo in stato di remissione, ma che, fondamentalmente, è incurabile. Io non sono dell’idea, e lei, se ha letto anche solo la metà delle risposte che ho dato alle domande che mi avete rivolto questa mattina e che sono di certo riportate su quel dossier, lo sa”, disse Andrea.
“È sicuro?”, chiese Zondyke.
Andrea lo guardò choccato, per un attimo pensando che presto Zondyke avrebbe cominciato a torturarlo con un trapano per dentisti, e poco ci mancò che prorompesse in una risata che, se fosse cominciata, sarebbe stata di certo isterica ed incontrollabile.
Ecco chi cazzo gli ricordava Zondyke, da quando era entrato nel suo ufficio!
Laurence Olivier!
Era la sua maledetta voce! Lo stesso tono metallico e tagliente! Aveva visto “Amleto” e “Il Maratoneta” in lingua originale, ed ecco chi pareva Zondyke quando parlava!
Il baronetto Laurence!
Cercò di distrarsi, tornando all’oggetto della discussione.
“Trovo risibile pensare ad un’origine genetica per un comportamento che, sostanzialmente, alla base ha un difetto della volontà… Odio pensare all’idea che dentro di noi ci siano degli interruttori genetici che, una volta attivati, fanno sì che questa malattia in particolare si presenti all’individuo… Mi pare una scorciatoia”, disse Andrea guardando il cielo ("Quel cielo, così sporco", pensò).
La giornata era quanto mai cupa.
“Quindi non crede che non possa essere controllata, che non possa essere tenuta a bada con la sola forza della volontà, non crede in sostanza che a decidere sia la malattia per la persona?”, chiese Zondyke, parendo realmente interessato all’opinione di Andrea.
“No. Non lo credo e non lo voglio credere. Penso che concepire la drogodipendenza in questo modo non sia altro che un espediente per de-responsabilizzare gli individui che ne divengono vittima... E credo che la categoria dei tossicomani, che è una categoria con tanti, tantissimi difetti in sé per sé, di tutto abbia bisogno tranne che di alibi sociali”, disse Andrea, e ci credeva davvero.
Zondyke rise di nuovo. Andrea, di riflesso, rabbrividì, di nuovo.
“Signor N., lei è incredibile, sa? In un certo senso, è la perfetta esemplificazione della verità secondo la quale i tossicomani abbiano ai test dell’intelligenza risultati superiori alla media”, gli disse Zondyke.
Di nuovo sfoderò l’atteggiamento paterno che aveva sfoggiato prima, e, ancora, Andrea, più che sentirsi rassicurato, provò timore.
“Cosa l’ha convinta di questo?”, chiese Zondyke.
“Nella mia famiglia siamo solo io e mio cugino ad avere perso la brocca... Ed ammettere una concezione tale vorrebbe dire che esiste la possibilità che, qualora avessi un figlio con la mia convivente, questo possa ricevere da me, invece che intelligenza e caparbietà, i geni della tossicodipendenza… Eh, davvero, non voglio pensare di mettere al mondo un potenziale junkie. Il pensarlo mi toglie la poca voglia di vivere che mi è rimasta, ad essere del tutto sinceri”, disse Andrea.
Zondyke rise ancora.
Si alzò, fece per mettersi alle sue spalle e, prima ancora di raggiungere la sua destinazione, che intuì come se avesse avuto una premonizione sarebbe stata sul tappeto alle sue spalle, cominciò a parlare.
“In effetti, ritengo che, a certi livelli, la Tossicodipendenza possa sembrare una Malattia (Andrea sentì nette le maiuscole)... Ad esempio, quando si spezza uno stato di remissione, a causa delle componenti croniche e progressive delle diverse forme di addiction, i ritorni di fiamma possono essere catastrofici... E l’individuo di regola ricomincia a comportarsi peggio di prima. Sì, si potrebbe pensare che ci siano le componenti tipiche della Malattia. Ma sia io che lei, Signor N., la pensiamo in modo profondamente diferso, non è fero?”, disse Zondyke da dietro le sue spalle, sul tappeto su cui s'era prefigurato sarebbe andato a parcheggiarsi.
Di nuovo Andrea dovette reprimersi per evitare di ridere. Non si voltò né fece ruotare la sedia: vaccamerda, si sentiva in soggezione.
Era evidente che quando Zondy si infervorava il suo accento divenisse più forte.
Chissà se se ne rendeva conto...
“Non è fero, Andrea?”, ripeté Zondyke poggiandogli le mani sulle spalle. Fu solo il fatto di avere presentito che Zondyke gli si sarebbe approcciato in quel modo a fare sì che si limitò ad avere una scarica di brividi piuttosto che scappare da quel posto come un urlante mentecatto.
“Mi perdoni, ero distratto. Sì. Penso sia vero. Penso che la dipendenza sia una decisione, né più né meno”, rispose Andrea.
“Interessante definizione. Mi spieghi cosa intende”, disse Zondyke lasciando la presa e ottenendo così l'importante effetto di evitargli di pisciarsi addosso.
“Penso che se un individuo volesse limitarsi nell’uso di qualsiasi sostanza, che sia cocaina, eroina, alcool o qualsiasi altro tossico, possa decidere di non assumere. Il drogodipendente vuole la sostanza, e prende la decisione di acquistarla, quale che sia questa sostanza... Una volta che ce l’ha, prende la decisione di assumerla. Potrebbe scegliere di buttare tutto nel cesso, ma non lo fa. Se assume quella sostanza troppo di frequente, il processo di decisione finisce fuori controllo, e, se finisce fuori controllo troppo spesso, diventa una dipendenza. A quel punto, la scelta è difficile da fare, ma è pur sempre una scelta. Assumerò o non assumerò. Sarò un triste alienato tossicomane tutta la vita, come il buon Strega, di là - al ché Zondyke rise più che mai compiaciuto - e continuerò a buttare nel cesso la mia esistenza e la mia dignità o dirò No e cercherò di rimanere lucido. Farsi o non farsi. Assumere o non assumere. Ribadisco: definire le varie forme di tossicodipendenza come delle malattie di diverso tipo e grado è ricorrere a un alibi. Alla, fine, si tratta solo di una decisione del cazzo. Ogni volta, e tutte le volte”, concionò, involontariamente, Andrea.
Come sempre, quando toccava l’argomento, vista la profondità e complessità dei suoi sensi di colpa, sembrava che a parlare fosse un fascista. E, per di più, un fascista con smanie da salutista.
Zondyke invece sembrava compiaciuto come non doveva essere da tempo.
“Bene! Non fedo l’ora di cominciare con lei!”, disse Zondyke con un entusiasmo così eccessivo che ad Andrea parve non solo fanatico, ma guasto.
“Eh… A chi lo dice”, disse Andrea.
Erano le 16.00, e, conoscendo il suo organismo, sapeva che avrebbe cominciato a stare male di brutto non più tardi di due, tre ore da quel momento.
“Perfetto”, soggiunse Zondyke, “può andare!”, gli disse indicando la porta con entrambe le braccia, con un gesto di invito così netto da parere un malcelato vaffanculo.
Andrea lo guardò e non capì.
“Posso andare? Ma non ha detto che dovremmo cominciare oggi?”, chiese, allarmato. Sperava in un surrogato (un surrogato potente, in verità), e non capiva cosa stesse succedendo.
“Ma abbiamo già cominciato! E lei è il primo paziente del nostro Centro che, da solo, giunge alle conclusioni cui noi dobbiamo fare faticosamente giungere tutti i nostri utenti!”, disse Zondyke quasi gridando.
“Mr. Zondyke, credo di non capirla… Lei sa che al massimo entro tre ore da adesso la sindrome astinenziale comincerà a disfarmi pezzo-pezzo?”, chiese Andrea con un tono non poco terrorizzato.
“Certo che lo so! E, ripeto, con lei abbiamo già cominciato. Sa in cosa consiste l’aiuto del Centro? Nell’infondervi il coraggio e la forza di volontà per smettere da soli. Non diamo farmaci di nessun tipo, ma provvediamo affinché i nostri pazienti non sviino dalla retta via…”, disse Zondyke in modo ambiguo.
Le fiamme gelide che gli languivano negli occhi avvamparono e, per poco, Andrea non si orinò addosso, un'altra volta.
“Ma mi sembra di avere detto molto chiaramente che non voglio né posso farmi ricoverare... E, come se non bastasse, questa mattina vi ho dato cinquecento euro, e abbiamo concordato un compenso complessivo di cinquantamila euro, per cui vi ho già dato dieci assegni da cinquemila euro l’uno, da incassare in un anno”, rispose Andrea con tono involontariamente gridato, e, per un attimo, ebbe delle visioni terribili: si vide, nell’ordine, legato ad un letto, in mezzo alle proprie feci ed al proprio vomito; chiuso in una stanza, senza materasso, nudo e tremante, a vomitare e a sfondarsi di attacchi di dissenteria; preso a botte ferocemente durante un attacco astinenziale e mandato in ospedale da degli immaginari infermieri che parevano al di là di ogni dubbio dei dipendenti di un ospedale psichiatrico e, infine, depredato dei propri cinquantamila euro per un cazzo di niente.
“Il compenso corrisponde al suo reddito annuale, né più né meno. È la regola primaria del Centro, e lei ne è informato dal nostro primo contatto. Avesse guadagnato un decimo di quella cifra, le avremmo chiesto un decimo di quella cifra. Il compenso lo fissate voi, non noi. Non intendiamo ricoverarla, assolutamente. È libero di andarsene. Ma non dovrà cedere, capisce? La forza di smettere gliela darà la sua volontà. Noi saremo solo un coadiuvante. Un coadiuvante forte e potente, ma solo tale, perché alla base ci sarà la sua forza di corpo e di spirito" disse Zondyke, come illustrando dei fatti elementari ad una persona dal cervello lesionato.
Si alzò, e si diresse verso la porta.
“Prego, vada. Ricordi soltanto che la terapia è iniziata. Da oggi, lei non solo non potrà più drogarsi… Non le sono permessi nemmeno surrogati o sostituti di nessun genere. L’unica cosa che le è concessa - a sue spese, ovviamente, per ricordarle che è lei la causa dei suoi stessi mali - è una cura sintomatica. Vada, prego, vada!”, ripeté Zondyke.
Forse sotto choc per quanto stava avvenendo, molto più probabilmente solo stupito dalla propria idiozia e buona fede, si alzò, e, senza ribattere né salutare, uscì.
...continua
Ciao, se posso essere indiscreta, posso domandarti come mai molti tuoi racconti hanno come tema la droga? Ciaoooo!!! By Marlene86
Scritto da: marlene86 | 15/11/06 a 15:10
hhhmmm...
i miei racconti imperniati sulla droga?
ma vah?
non me ne ero mai reso conto...
;-)
(scherzo, ma in realtà, per dirla come Vlad Tepes in Dracula di Coppola, "Non è argomento da ridere!")
ciao,
davide.
p.s.: a parte tutto, se vuoi possiamo parlarne, ma altrove (il che vuol dire che, se vuoi, puoi mandarmi il tuo ind. e-m qui: [email protected])
Scritto da: asmodave | 15/11/06 a 15:28
Ciao...ho provato a spedire l'e-mail ma risulta che l'indirizzo è sbagliato...ho provato più volte stando attenta anche a inserire il nome del destinatario, ma comunque non riesco a inviarla...se vuoi prova a mandarmi tu un e-mail a questo indirizzo, [email protected]
Ciaooooo!!!By Marlene86
Scritto da: marlene86 | 15/11/06 a 20:56
Ciaoooo! Mi è arrivata la tua mail, ti ho anche risposto...ciao! By Marlene86
Ps: Mi faresti il piacere se quando mi mandi una mail melo puoi segnalare sul mio blog postando un commento? Perchè sennò magari mi connetto a Libero e siccome è lentissimo a caricare la mia casella, magari carico inutilmente e la bolletta sale...Grazie mille!!! By Marlene86
Scritto da: marlene86 | 16/11/06 a 14:00
Ciao! Ti ho spedito un' e-mail ieri...vabbè un mega salutone e ti lascio augurandoti la buonanotte...(anche se ora è presto, ma non penso che mi connetterò più tardi...) Ciaoooo!!! Gute Nacht!!!:-9 By Marlene86
Scritto da: marlene86 | 20/11/06 a 20:33