E' finito... Consiglio di evitarne la lettura a:
1) perbenisti;
3) destrorsi (moderati o no);
4) impressionabili;
5) proibizionisti;
6) coloro che odiano Mr. John Lansdale.
- The ‘Zinbo’s Samba -
- § 1
Più si guardava attorno e più gli veniva fatto di pensare che il posto in cui era somigliava ad uno degli Inferni in cui sarebbe finito ad arrostire lui.
O magari no.
Forse non sarebbe finito affettato e poi in graticola, forse per lui il buon vecchio Satanasso si stava arrovellando su un metodo che fosse più consono alla sua carriera.
Il che, a ben guardare, se la Legge del Contrappasso doveva ritenersi valida, avrebbe comportato, alla meglio, atroci sofferenze, alla peggio, nuove definizioni del concetto stesso di dolore.
Un brivido lo scosse, e il Gin Tonic che stava bevendo, al contrario delle sue aspettative, non lo aiutò a calmarsi minimamente.
Performing Art, la chiamavano.
“Arte questo grosso e venoso cazzo”, pensò ‘Zinbo, mentre contemplava i due performers sanguinanti.
Si soffermò sul proprio stato emotivo, e si rese conto che erano anni che non era così inferocito. Lo strano era che il tipo che si doveva fare in apparenza non sembrava avere gusti così stronzi. Ormai era il settimo giorno che se lo filava ovunque andasse e qualunque cosa facesse, e, anche se aveva dato prova di essere un noncurante coglione egoista, incapace di valutare come un uomo che fosse degno di quel nome le conseguenze delle sue azioni, aveva una discreta intelligenza.
No, pochi cazzi.
Era brillante.
Chissà com’era finito nel giro del Toscano.
I due appartenevano a mondi così diversi che, a tenere buona la metafora planetaria, solo una catastrofe cosmica avrebbe potuto farli incontrare.
Maledizione a tutti, si disse.
Alle volte avrebbe desiderato essere più ignorante. Chi diceva che la consapevolezza di sé, degli altri e del mondo fosse un bene, era un grosso, grossissimo, enorme idiota.
Frattanto i due performers stavano, per usare un’espressione impropria, cambiando registro.
Dal cutting stavano passando al branding.
Se non ricordava male e se aveva capito lo scopo dello strumentario da psicotici pazzoidi che campeggiava in mezzo al palco (che, a sua volta, era al centro della sala), a quanto stava accadendo sarebbero seguiti una session di scarificazione e il clou della serata: l’Ice Kiss.
Pazzi. L’ustione fredda da idrogeno liquido doveva fare un sacco male.
Non che la scarificazione fosse piacevole. In effetti, a contemplare lo strumentario sul palco, pareva che i due idioti che stavano esibendosi intendessero renderla particolarmente dolorosa: accanto a dei rasoi appoggiati su dei cuscini c’erano un braciere e dell’aceto. Le lame dei rasoi erano lunghe in modo assurdo, e ricurve come sciabole. C’era da scommettere che fossero state realizzate su disegno. Il pensarlo gli fece venire in mente lo strumentario ginecologico per donne mutanti concepito dai gemelli interpretati da Jeremy Irons in “Inseparabili”. Un impulso di schifo gli fece torcere lo stomaco. Il carbone e l’aceto venivano di certo utilizzati per irritare le incisioni.
“Come se ce ne fosse bisogno”, pensò ‘Zinbo.
Idioti.
Idioti loro e idioti gli oltre duecento paganti imbecilli che erano stipati là dentro con lui (e, come se non bastasse, quella merda gli era costata centocinquanta euro).
“Hai perso di colpo i punti che avevi guadagnato, piccola testa di cazzo...”, aggiunse mentalmente ‘Zinbo, pensando al suo cliente.
Il dolore era una cosa seria, cazzo.
Lui, che era un professionista del settore, odiava i fronzoli e le inutilità.
Amava le cose pulite, in un certo senso.
E, dal momento che la serata aveva preso una piega (pericolosamente) psicoanalitica, tanto valeva che lo ammettesse con sé stesso: in realtà, temeva che, attraverso il sangue, le strida di dolore e le lacrime, potesse infiltrarsi la pietà.
Sentimento che, nella maniera più assoluta, non poteva permettersi.
Uno dei due performers gridò senza pudore. In mano aveva uno dei due rasoi che fino a qualche secondo prima era appoggiato su un cuscino di velluto nero. Il suo collega gli stava premendo, con espressione sadica e goduta, una spugna intrisa d’aceto su una delle scarificazioni che s’era da poco procurato con uno strano bastone in legno e metallo che terminava con quello che si sarebbe detto un marchio spiraliforme. Se non ricordava male, la scarificazione era un metodo rituale per procurarsi cicatrici. La differenza che però correva tra le tribù primitive africane dove veniva ancora praticata e il baraccone da circo che i due stroppiati idioti avevano tirato su (e che ora, suo malgrado, aveva davanti), era la stessa che stava tra il cioccolato e la merda.
Questi coglioni non avevano la benché minima nozione della ritualità del dolore auto-inflitto, sarebbe stato evidente anche ad un cieco. Erano degli schifosi narcisisti, né più, né meno.
Il dolore era una cosa seria, cazzo.
Mai prolungarlo inutilmente, ad esempio.
Se il tuo scopo è estorcere delle informazioni, una volta che le hai ottenute, ti devi fermare.
Se il cliente ha ricevuto la giusta dose di dolore e si è convinto dell’ingannevole illusione che rimarrà vivo, che bisogno c’è di continuare?
Una palla in fronte, o ad una tempia (qualsiasi cosa, purché la bocca rimanga integra), il solito lavoro di rasoio che l’aveva reso famoso ed unico nell’ambiente (Zac-Zac) e via.
La musica di fondò cambiò, senza soluzione di continuità.
Cominciò un pezzo dei Prodigy, Fire Starter, che contribuì ad alimentare l’illusione di essere in uno dei Gironi Infernali concepiti da Dante. Per evitare di proseguire coi cattivi pensieri, decise di dedicarsi di nuovo all’oggetto del suo contratto. Malgrado le sue intenzioni, l’abbinata tra le luci stroboscopiche, le immagini mentali del cantante dei Prodigy che vomitava i versi iconoclasti di Fire Starter all’interno di una galleria che sembrava una delle uscite dell’Inferno e i due performers che continuavano ad affettarsi a vicenda, si stava facendo tanto disturbante che, se non fosse stato il professionista che era, sarebbe andato alle spalle del suo obbiettivo e l’avrebbe abbattuto come un cane.
Ma, in primo luogo, non aveva voglia di guastarsi la serata, in secondo luogo c’era la necessità dimostrativa, in terzo luogo non era da escludere che per uscire da un locale come quello dopo avere freddato un pollo di fronte al bar avrebbe dovuto provocare un massacro.
E, davvero, non ne aveva voglia.
E poi un atto del genere avrebbe contrastato col suo stile.
“La necessità dimostrativa”, rimuginò ancora.
Il Toscano doveva avere sotto di sé una batteria di almeno dieci pusher come il tizio, e lo scopo del suo lavoro era abbastanza chiaro.
Se se lo fosse fatto lì non tutti avrebbero capito.
Forse nessuno, vista l’intelligenza media dei soggetti coinvolti.
Quindi doveva calmarsi.
Tornò, con attitudine Zen, a concentrarsi sul tizio.
Da nemmeno mezz’ora era entrato nel locale con una strana combriccola di amici: un gay da operetta petulante e fastidioso solo a guardarsi, una bella ragazza con un’aria da zoccola incattivita (che, se non aveva capito male, era la stata la sua donna), e i tre soliti ragazzi suoi coetanei coi quali passava la maggior parte del proprio tempo. Sapendone le intenzioni lo aveva preceduto. Quasi subito dopo aver varcato la soglia si erano separati. Il tizio e la sua donna (o la sua ex-donna, o quello che fosse) s'erano messi in disparte, gli amici del tizio s'erano avvicinati al bar, il checcazzo aveva preso a... Il checcazzo aveva preso a toccare il culo di una ragazza. Per poco non lo avevano preso a botte.
Pensò che l’idiozia umana non aveva limite.
Che senso poteva avere per un tipo come quello palpeggiare le chiappe di una ragazza?
Probabilmente nessuno.
Forse era solo un idiota in cerca di attenzione.
Si chiese dove fosse finito e cosa stesse facendo. Non fece a tempo a concludere il pensiero che, shoccato, lo vide di nuovo a palpeggiare un culo.
Questa volta però stava toccando il fondoschiena di un ragazzo cinese. L'evento fu tanto inaspettato che il cocktail che ‘Zinbo stava bevendo gli andò di traverso.
Quello che accadde dopo fu parimenti improvviso, così tanto improvviso che perfino i suoi allenati riflessi vennero colti alla sprovvista.
Un ragazzo gigantesco e pelato, dall'aspetto contemporaneamente bovino e crudele (evidentemente un amico del molestato), colpì il checcazzo in piena tempia sinistra con la bottiglia di birra che aveva in mano, facendola esplodere in un mare di schegge dorate.
L’energumeno, come se avesse dato il via ad un gruppo di soldati all'erta, fu subito circondato dai suoi amici che gli dettero manforte. Fu così che cominciarono a pestare a sangue il malcapitato ricchione.
Quasi gli fece pena: lo stavano triturando.
Bestie, pensò, quali schifose bestie senza arte circolano per il mondo...
Si chiese se fosse il caso di intervenire, ma, se aveva capito la psicologia del tizio che doveva accoppare, quasi di certo sarebbe intervenuto lui...
Si girò, ed ebbe conferma della sua intuizione. Daniele - così si chiamava - stava correndo verso il mucchio selvaggio come un Don Chisciotte.
'Zinbo lo guardò, e non poté fare a meno di sorridere.
Il tizio saltò su una poltrona e piombò da dietro sul bue, tirandogli un pugno sul collo taurino. Questi si voltò, in apparenza come se fosse stato punto da una zanzara.
Non fu certo di avere sentito davvero, ma gli parve di sentire Daniele che diceva: "Dài, bello! scherzavo!".
“Che Imbecille!”, pensò ‘Zinbo. “Il ragazzo manca completamente di capacità valutativa: proprio non ha capito con chi ha a che fare... Farsi un numero del genere con un animale come quello!”, aggiunse a sé stesso ‘Zinbo.
In effetti, collo di toro parve non capire il concetto.
E così, senza una parola, bersagliò con una raffica di cazzotti, calci e ginocchiate Daniele.
Anche qui il gruppo cui apparteneva il gorilla parve obbedire ad un qualche ancestrale istinto predatorio: abbandonò l'altra vittima (il checcazzo che ormai era per terra svenuto in un mare di sangue) e si concentrò con lo stesso accanimento di prima sul nuovo bersaglio.
Guardò Daniele e si chiese cosa avrebbe fatto lui al suo posto: circondato da una decina di persone che ti prendevano a calci e a pugni era difficile pensare per un professionista, figuriamoci per un individuo dal comportamento razionalista e studiatamente cool qual era lui...
Dopo una settimana di appostamenti, intercettazioni e osservazione in segreto ‘Zinbo si era fatto una idea abbastanza precisa di Daniele: i tizi come lui odiavano la violenza perché la ritenevano, fondamentalmente, inelegante.
Il che, pensò, non lo avrebbe aiutato di certo. Era fatale quindi che non fosse preparato a situazioni come quella, e il paragone tra loro due, a ben pensare, era inutile.
Lui, a quel punto, avrebbe probabilmente già spezzato diverse braccia e prodotto diverse vittime.
Frattanto, dal suo cliente, alla lettera, stavano volando via dei pezzi: prima gli occhiali, poi la collana col dente di squalo che portava al collo e, infine, i sandali (evidentemente, per quanto fosse inutile, stava cercando di difendersi a calci)...
A quel punto qualcuno lo colpì con una bottiglia piena di birra sulla nuca. Ci fu un’altra esplosione di schegge dorate e liquido ambrato, e il ragazzo cadde in avanti come se una bomba l’avesse colpito sul collo.
Finì a terra faccia avanti e non si mosse più.
Appena si resero conto di avergli fatto perdere i sensi, i picchiatori, quasi per magia (almeno, la velocità con la quale si dettero fece pensare a 'Zinbo ad una forma di magia), si diradarono.
Guardò il pollo, riverso per terra, e, con sconcerto, si rese conto di provare pena.
Il che, pensò, era un brutto, bruttissimo segno.
- § 2
Era una giornata decisamente strana.
No, strana non bastava a definirla congruamente.
Che provasse simpatia per il suo “cliente” era già non solo strano ma anti-professionale; che provasse addirittura pena disturbante.
Il motivo che l’aveva portato ad escludere le donne dai potenziali fruitori dei suoi servizi era proprio quello: che tra lui e loro potesse innescarsi una qualche dinamica – in cui, ovviamente, c’entrava il cazzo – che fosse in grado di mandare tutto a puttane.
Pensò che, forse, era colpa del Toscano.
Di quello psicopatico, grassone, maiale, sessista, squilibrato, fetente e bastardo del Toscano.
Tra loro le cose avevano funzionato per il verso giusto per anni, poi, con l’andare del tempo, era malauguratamente intervenuta la confidenza che deriva dal trovarsi a contatto più e più volte per motivi di lavoro.
All’inizio c’era solo lo schifo a pelle che il Toscano suscitava inevitabilmente a stargli accanto.
Poi, l’atteggiamento di “Paolo ‘O Porco”, altrimenti detto “Il Toscano”, s’era trasformato, e, con esso, era variata, peggiorando, l'opinione che 'Zinbo aveva di lui.
Convinto che il denaro comprasse tutto, compreso il rispetto e l’onore, chissà come, s’era convinto che ‘Zinbo lo tenesse in alta considerazione e lo reputasse una sorta di zio acquisito.
Certo, ‘Zinbo a rigirarsi la gente era magnifico, ma Paolo ‘O Porco era un tipetto fumino, e fare buon viso a cattivo gioco per evitare non tanto di perderlo come fornitore (di clienti) ma proprio di perdere qualche parte anatomica s’era fatto un gioco stancante.
Non che fino all’ultimo incarico sembrasse avere intuito granché... Anzi, pareva proprio che il cinghiale non avesse capito un cazzo di niente.
Su tutto, non aveva capito che quello di ‘Zinbo non era né rispetto indotto dalla sua nomea di psicopatico dal senso dell’onore alla mafioso integerrimo né, in fondo, paura.
Era senso degli affari.
Per sei anni tutto era andato come doveva, poi una sera aveva avuto l’idea poco intelligente di accettare un invito ad un “festino” – così aveva detto lui – del Toscano.
Ricordò che era bastato vedere la mise con la quale l’aveva accolto per fargli capire che sarebbe stata una serata del cazzo.
Era estate, e a Torino da qualche anno l’estate poteva essere così calda da rinscemirti, ma nessuno avrebbe potuto o dovuto vestirsi come il Toscano quella sera.
L’aveva accolto con un pantalone attillato a righe (che ne evidenziava la virilità come se fosse scolpita), una maglietta nera chiazzata di sudore salino e biancastro con la simpaticissima scritta “Italian Do it better”, delle bretelle da gangster e delle scarpe così a punta che, ci avresti giurato, se ti avesse preso a calci in culo, ti avrebbe trapanato il cervello.
[In sintesi, gli aveva aperto la porta che sembrava una palla da bowling con le scarpe e le bretelle.]
“Entra Sasà, entra e mettiti comodo!”, aveva detto tutto felice.
Non ci poteva credere: l’aveva chiamato col suo cazzo di nome! Cioè, col suo cazzo di soprannome basato sul suo nome di battesimo!
La casa straripava di gente – tutti uomini, ovviamente – e lui l’aveva chiamato col-suo-cazzo-di-nome!
Cercò il suo centro, come dice la filosofia Zen, per evitare di uscirsene con qualche asserzione inappropriata, che lo sapeva, in un contesto come quello, gli sarebbe costata di certo cara.
Lo Zen non funzionò, ma importava poco: sul tavolo al centro del salotto di casa Toscano c’erano almeno tre tipi di cocaina, e questo contribuì a calmarlo.
Sparpagliate ovunque c’erano delle scaglie di una cocaina rosata, che, a quanto pareva, i convitati avevano dovuto frantumare con un martello o un batticarne. Giudicò che ognuna di quelle scaglie pesasse almeno mezzo grammo, e sul tavolo ce n’erano almeno una trentina.
Prese uno di quei diamanti rosa (il più grosso, ovviamente) e lo gettò in un bicchiere vuoto.
Allungò la mano verso del vino bianco, lo annusò e ce lo versò sopra.
Sorseggiò il cocktail mentre il Toscano faceva gli onori di casa, presentandolo a sei-sette tizi che risposero più o meno tutti la stessa cosa: “Piacere, Paolo”, o, in alternativa, “Piacere, Pietro”.
Si guardò attorno e capì: era una riunione di famiglia.
Le palle gli risalirono su per lo scroto.
Frattanto, il padrone di casa lo stava tenendo saldamente per il collo, facendolo ruotare come una sorta di pupazzo ogni volta che voleva presentarlo a qualcuno.
Per fortuna di 'Zinbo, arrivati davanti al bar, lo mollò.
Sollevò lo sguardo e, per un attimo, pensò di avere davanti uno specchio: davanti a lui c’era Paolo, con gli stessi cazzuti pantaloni, la stessa cazzuta maglia, le stesse cazzute bretelle e le stesse cazzute scarpe con la punta che pareva fatta al temperamatite.
Ma lui - l'originale riflesso dallo specchio - dov’era?
Poi il tipo si mosse, e allora capì.
“Paolo ti deve volere parecchio bene, te-tu lo sai pischerlo?”, disse il tizio con delle aspirate così marcate da parere caricaturali.
Un gemello?
Paolo aveva un gemello?!
“Questa sera siete in tre a non essere di famiglia, te-tu lo sai pischerlo?”, aggiunse.
Evidentemente sì, aveva un gemello, ma la somiglianza era allucinante.
“Voi non siete semplicemente gemelli omozigoti... Discendete da un vostro uguale clone, da cui vi siete distaccati per partenogenesi”, pensò, e poco ci mancò che lo dicesse.
“Grazie, so cosa vuol dire per Paolo la famiglia, quindi vi ringrazio davvero”, disse invece.
“Paolo ha ragione, sai? Hai l’aria di uno leale e regolare... Comunque, io sono Pietro”, ribatté il clone allungando la mano per farsela stringere.
Mentre gli stringeva la mano si rese conto che aveva una strana luce negli occhi, che, se possibile, gli dava un’aria ancora più scaltra e cattiva di quella di suo fratello.
“Ringrazio il Dio maligno che mi protegge”, pensò ‘Zinbo, e, suo malgrado, si concesse ai convenevoli tipici delle feste di mafia.
Dopo tre quarti d’ora ne aveva i coglioni così pieni che decise che era tempo di farsi un giro.
Si voltò, e fu attratto come una falena dai bagliori rossastri che provenivano dalla sala adiacente a quella in cui era.
Dentro c’erano quattro tizi di fronte ad un maxi-schermo.
Un porno!
Sullo schermo stava andando un porno del cazzo!
Senza audio!
Mah.
Udì un gemito di donna, e capì che i quattro tizi non erano soli.
Si sporse un po’, e vide, inginocchiate come delle messanti in adorazione, quattro tipe che stavano sbocchinando i quattro con una foga che solo la cocaina rosa che era nella stanza accanto avrebbe potuto indurre.
Curioso come poi, in realtà, la coca non fosse un eccitante sessuale.
Quello della cocaina come droga da assumere per scopare era un mito così radicato che, almeno le prime volte, l'arrapamento lo provocava l'autosuggestione.
Ricordò che una sera, per colpa della coca...
Un altro gemito lo distolse; questa volta ad emetterlo fu però un uomo.
Mah!!!, di nuovo, pensò.
Si concentrò sullo schermo e, guarda un po’?
Indovina-indovinello, chi erano mai i proprietari degli organi che erano in funzione sul maxischermo da 63" che faceva da fulcro di quel curioso porno-cinema in miniatura, illuminato da led rossi a basso voltaggio?
Malgrado il regista, con notevole maestria, bisognava ammetterlo, non inquadrasse mai loro i visi, la stazza corporea (compresa quella degli strumenti in azione) e le scritte “Italian Do it better” non è che lasciassero molto alla fantasia (pensò al sudore sulle magliette dei due cinghiali e si chiese: "Che il film fosse stato girato quello stesso giorno?")...
Ad un certo punto la telecamera si concentrò su quella che tra le due co-protagoniste pareva più giovane (forse un po’ troppo giovane, pensò 'Zinbo, forse addirittura minorenne, santa merda?).
Era accoccolata, con le gambe ben aperte, di fronte a non si capiva quale dei due gemelli.
Si staccò dall’organo - più propriamente l'ordigno - che aveva in bocca ( più correttamente, giù fino in gola) e prese contemporaneamente a masturbarlo e leccarne il glande con colpetti veloci, decisi e leggeri come lo sfarfallìo di un colibrì.
La telecamera scese, e indugiò sulla fessura vaginale della ragazza, spalancata, arrossata e bagnata come una grotta lambita dai flutti.
Evidentemente questa, aiutata alle sue stesse mani, aveva appena raggiunto l’orgasmo o stava per raggiungerlo.
Si meravigliò, con stupore accademico, di come una femmina così bella potesse concedersi ad un animale come Paolo, ‘O Porco (o era Pietro?), ma fu solo un attimo: in realtà, comprese a livello subliminale ed inconscio, di fronte non aveva che l’esplicarsi di una delle tante dinamiche del potere...
E, oltre tutto, di uno dei poteri più antichi: quello del fallo maschile, inteso come totem cui concedersi con totale, assoluta, pagana abnegazione.
Era normale, anzi, di più, era giusto che quello strano porno in cui il colore dominante era il rosso (cosa che contribuiva a rendere quella saletta ancora più straniante di quanto non era già di suo), fosse così conturbante...
Così, suo malgrado, si eccitò (dolorosamente), e, per un attimo, pensò che magari bastava mettersi in coda e sperare in un pompino da una delle quattro succhiatrici che erano inginocchiate a terra...
Si voltò di nuovo verso lo schermo, e, non appena vide la corta rivoltella nera che il minchiuto aveva sfilato dal pantalone, capì che era vera.
E capì, con un terrore che gli mozzò il fiato in gola, anche cosa sarebbe successo.
Non ebbe tempo di pensare che gli snuff movie non dovessero c'entrare un cazzo con la sua professione ed il suo ambiente, compreso quello dei suoi attuali datori di lavoro, che, contemporaneamente, sullo schermo partirono un getto di sperma impressionante, un lampo bianco e un’esplosione rossa.
La telecamera si girò verso l’altra ragazza, e la colse nell’atto di urlare. Capì in quell'istante che doveva essere una scelta registica precisa. Anche se la corporatura dei due panzoni era inequivocabilmente riconoscibile, almeno per chi li conoscesse, magari non volevano che quel divertente filmato non gli si potesse ritorcere contro. E, poi, c'era il fattore della spersonalizzazione. Le urla avrebbero reso le ragazze qualcosa di più che degli oggetti sessuali da annaffiare di liquido seminale e uccidere come se fossero stati degli animali da macello dopo che avessero assolto al loro compito di spompinatrici.
Uno dei due “Italian Do it better” la colpì in viso un calcio, che, a causa delle scarpe assurde che si trovava, la fece svenire immediatamente.
Priva di sensi, cominciò a sodomizzarla.
Inevitabilmente, la ragazza si ritrovò in una posizione assurda, quasi comica, da bambola meccanica con le pile scariche.
Non che la scena facesse ridere.
All’orgasmo, la conclusione non fu dissimile da quella del capolavoro che l’altra palla da bowling aveva poco prima portato a termine.
Solo, la ragazza era già svenuta da qualche minuto, quindi per sua fortuna morì senza rendersene conto.
Corse verso il bagno e vomitò. Vomitò così a lungo e con violenza tale che pensò di essersi vomitato il cervello.
Uscì, e, ad aspettarlo con studiata nonchalance, trovò Pietro.
Lui e suo fratello erano, alla lettera, identici, l’aveva capito, ma lo sguardo e l’aura che questi aveva attorno erano unici. Per capirlo bisognava però averlo accanto e concentrarsi sulle sue emanazioni, poiché la somiglianza fisica tra i due era davvero totale. Il che gli riportò alla mente che, in più di una occasione, il Toscano gli era parso un pazzoide dissociato dalla memoria corta od inconsistente, cui bisognava ripetere le cose continuamente... Intuì che i bastardi si scambiassero di ruolo, in qualche cazzo di gioco perverso i cui scopi dovevano essere noti solo a loro.
“Pischerlo, occome stai? Tutto bene?”, disse con aria apparentemente preoccupata Pietro.
Fece andare il cervello a mille, più velocemente di quanto avesse potuto fare mai in vita sua, e si capacitò che: 1) la porta della stanza del video era aperta, per cui la possibilità che lui o uno qualsiasi degli altri (pochi) ospiti che non appartenevano alla famiglia ci finisse dentro era stata di certo calcolata, e non era considerata problematica; 2) stavano cercando un pretesto per accopparlo, per una qualche merdata di vendette trasversali in cui era finito in mezzo senza saperlo; 3) nessuno voleva fargli deliberatamente del male, ma, se avessero saputo della sua reazione, avrebbero capito che non approvava - nemmeno un po' - quanto aveva visto e, se lì per lì non avesse reagito come doveva, avrebbero fatto due più due e, o, giudicandolo un frocio senza palle, non lo avrebbero lasciato andare via intero o, in alternativa, per lo stesso motivo delle palle di cui sopra, non gli avrebbero più dato da lavorare.
Pensò che l’ipotesi numero 3) era la più probabile, e capì che il modo in cui la serata si sarebbe risolta dipendeva da lui.
“Ohi, Pietro! Ho esagerato con la coca e il vino... Per quanto buoni possano essere i tuoi ganci, la coca di piazza non è mai pura oltre il trenta-quaranta per cento... E, a occhio e croce, la bamba che c’è di là viaggia sul novantanove virgola novantanove per cento... Insomma...”, concluse tossendo.
“Insomma, hai esagerato, per i tuoi standard abituali!”, concluse Pietro, e scoppiò in una risata fragorosa che pareva essere genuina.
Gli si strinsero le palle, di nuovo.
Poteva alludere sia a quello che abitualmente faceva, vedeva e sopportava, sia alla coca...
Decise che avrebbe rischiato: “Già, diciamo pure che per ‘sta sera ho buttato nel cesso i miei standard abituali”, disse, e cercò di sorridere, ma stava così male che dovette sembrare un idiota cerebroleso.
La vista gli si appannò, e si sentì mancare.
Ancora risa (nel frattempo qualcuno aveva affiancato Pietro).
Ridevano di lui?
Molto probabile.
Come che fosse, se la stava cavando, perché, diversamente, in quel momento, sarebbe già stato gonfio di botte e a terra.
Non ricordava molto di quella sera (o, meglio, di quello che era accaduto dopo), anche perché Pietro aveva giudicato che non ci fosse miglior terapia ad un collasso per cocaina e vino che assumere altra cocaina e altro vino.
Ma cazzo, il problema era quello che stava capitando ora...
Tutto stava andando male.
Ad esempio, perché cazzo aveva portato a casa propria il tizio, se davvero lo doveva seccare?
- § 3
Il caos assoluto era scoppiato nel locale.
Grida inconcludenti, strepiti, spostamenti di massa da uno svenuto all’altro davano l’impressione che il germe della follia avesse prese il sopravvento su tutto e tutti. Non sembrava semplice panico, sembrava demenza. Merde senza palle! Andavano a guardare a pagamento due coglioni che si torturavano da sé ed era bastata una semplice rissa per fare loro andare in panico totale. Peggio, stavano strepitando come un branco di scimmie urlanti.
La maggior parte della gente che era all’interno del locale si era addossata attorno alle uscite e ai due tizi svenuti.
I due performers gridavano al pubblico, in inglese, di mantenere la calma.
“Brothers and sisters, please...”, disse uno dei due.
Salvo ‘Zinbo, gli unici ancora lucidi e controllati parevano loro.
Immediatamente gli venne in mente il concerto che i Rolling Stones tennero ad Altamont nel 1969, in cui un Hell’s Angels aveva ucciso una persona del pubblico (molto poco incidentalmente).
Ricordò, come in un’allucinazione auditiva, Mick Jagger che, spaventato e consapevole di quanto era accaduto, cercava di riportare all’ordine gli spettatori e limitare i danni...
Che strana forma di sincronicità, pensò: Jagger aveva esordito esattamente con quella stessa frase.
Approfittò del caos per avvicinarsi al palco (i due performers frattanto ne erano scesi, facendo schizzare via coloro che se li erano trovati accanto alla velocità della luce), e, con un rapido balzo, vi salì sopra. Nessuno parve accorgersene. Coloro che erano rimasti all’interno del locale erano ammassati in modo inconcludente su Daniele e l’amico gay di quest’ultimo, che, a quanto pareva, non smetteva di sanguinare.
Vide uno dei due rasoi sui cuscini, e lo trovò bello, luccicante e terribile.
Ne sentì il peso (era ben bilanciato), ripiegò la lama nel manico e se lo mise in tasca.
Tornò verso Daniele, assunse l’atteggiamento allarmato e partecipe che avrebbe avuto un amico, rassicurò i coglioni che gli si erano addossati attorno senza costrutto (come se il semplice stare addosso ad una persona svenuta potesse esserle in qualche modo d’aiuto), se lo caricò in spalla dicendo che lo avrebbe personalmente portato in ospedale e si avviò verso l’uscita. I suoi veri amici e la sua ex-donna non c'erano: probabilmente dovevano essere usciti a fumare ed erano rimasti bloccati fuori.
Nessuno, si rese conto, parve avere considerato che l’amico gay fosse molto più grave. A ben guardare, pareva morto. Il che, rifletté, la diceva assai lunga sul tipo di persone che si trovava all'interno di quel locale.
“Massa di inutili e viziati coglioni”, pensò, ed uscì.
- § 4
Era ormai mezz’ora che era nel suo appartamento, ma il suo cliente non accennava affatto a riprendersi.
Pensò al nitrato di amile che aveva in camera da letto, ma accantonò l’idea immediatamente: il Popper avrebbe potuto produrre chissà quale bizzarro effetto, ma su tutto, chissà quali bizzarri fraintendimenti.
Si rese conto che continuava ad esserci qualcosa, nei suoi processi di pensiero, di alterato e distorto.
Ma che cazzo stava facendo?
Il tizio era svenuto (svenuto!), quindi portare a termine il lavoro sarebbe stato facile persino per un fesso di killer alle prime armi.
Diciamo pure per un fesso di killer paraplegico.
Un colpo di tosse lo fece sussultare.
“Caaaazzo, che botta...”, disse Daniele massaggiandosi il collo.
“Ti hanno colpito con una bottiglia sulla nuca. E la bottiglia era piena”, rispose ‘Zinbo.
Daniele spalancò gli occhi, e si guardò attorno con un’aria imperscrutabile. Un altro dei pregi del ragazzo, pensò ‘Zinbo, era quello: era meglio di un giocatore di poker professionista. Di quello che pensava non si capiva mai nulla oltre quello che lui stesso voleva far capire.
“Senti, io ti ringrazio per avermi soccorso... Però, posso dirti che il fatto di essere qui mi stupisce?”, disse Daniele.
“Bene, il ragazzo ha capito la situazione e vuole già che si scoprano le carte”, pensò ‘Zinbo, ma non disse nulla.
“C’entri col Toscano, vero?”, aggiunse sussurrando Daniele.
Si sentiva spiazzato.
Si sentiva spiazzato non tanto perché il ragazzo aveva già capito tutto, ma perché non sembrava spaventato.
Comunicava solo consapevolezza e rassegnazione.
“Sì, c’entro col Toscano. Mi spieghi come cazzo sei arrivato a dovergli dare 50 mila euro? Non mi sembri scemo, ma ti sei messo mani e piedi in braccio a gente che ammazza per molto meno. Pure gratis, se non l'avessi capito”, gli disse.
Ed era vero.
A parte quanto aveva visto fare alle due ragazze da Pietro & Paolo, tutti, nell’ambiente, sapevano, fra le altre cose, che Paolo avesse freddato un tossico in pieno giorno perché aveva cercato di rubargli l’autoradio.
Era successo negli anni ottanta, quando ancora rubare autoradio aveva senso. Paolo era andato dal famoso Joachim, in Corso Regio Parco (ovvero nella zona di Torino in cui 'Zinbo era cresciuto), a farsi un caffè, e aveva lasciato il suo nuovo BMW aperto di fronte al bar.
Evidentemente il tossico non doveva essere di zona.
Lì tutti sapevano di chi era quella BMW e perché, come una sorta di esca, venisse lasciata ostentatamente a portiere aperte. Il tossico non lo sapeva, o non lo aveva capito, e, oltre ad avere cercato di rubare l'autoradio, s'era messo a ravanare nel cassettino anteriore.
Fatto sta che Paolo, dall’uscio del bar, in pieno giorno e di fronte almeno a dieci testimoni, resosi conto di quanto stava avvenendo, s'era avvicinato alla sua stessa macchina, aveva fatto uscire il coglione, si era fatto restituire le sue cose e, poi, dopo, nonostante il pubblico, aveva pensato bene di sparare in mezzo agli occhi al tossico.
Quello che nessuno si aspettava era che il proiettile fosse stato un Dum-Dum. La capoccia del coglione era esplosa come un cocomero. Naturalmente, gli schizzi di sangue avevano insozzato malamente la macchina di Paolo e Paolo stesso, e l'idiota s'era accanito sul cadavere sparandogli contro tutto il caricatore, e, alla lettera, l'aveva fatto a pezzi.
Altrettanto naturalmente, quando arrivò la polizia a raccogliere testimonianze su quel macello, venne fuori nessuno aveva visto nulla.
“Se ti ha detto che gli devo 50 mila euro ti ha detto una cazzata. Gli devo dare la metà di quei soldi”, rispose Daniele.
Se possibile, la notiziola appena comunicatagli lo fece inferocire ancora di più di quanto già non fosse.
Un mal di testa sordo e pulsante gli esplose in mezzo alla fronte.
“Senti”, disse ‘Zinbo spazientito, “non sarai mica uno di quei fessi che carica a gancio mezzo chilo di coca, ne vende un etto e si spara gli altri quattro?”.
“Eh...La mia ex, i miei amici, sono troppo buono, cazzo”, rispose Daniele con atteggiamento innocente.
Il figlio di vacca pareva sincero, pensò ‘Zinbo, lo guardò e gli venne da ridere.
Ma riuscì ad impedirsi di farlo, anche perché più macinava e più si rendeva conto che a farlo incazzare erano stati Paolo e Pietro col loro cazzo di film. Il coglione aveva vinto la lotteria più importante della sua vita, ma non era il caso di spiegarglielo.
Cazzo, che il ragazzo si fosse cagato pure addosso... In fondo, se lo meritava.
“Senti, non vorrei cambiare argomento, ma cosa è successo? Mi ricordo solo che stavano fracassando di botte uno dei ragazzi che era con me... E adesso sono qui... Dove siamo, a casa tua?”, interloquì Daniele, sempre mantenendosi calmo.
Se le capacità empatiche di 'Zinbo stavano funzionando a dovere e ci fossero stati dei sottotitoli, ci scommetteva, il ragazzo avrebbe detto: “Mi devo preoccupare? E, se sì, fino a che punto?”.
“Sì, siamo a casa mia. Come fai a conoscere il Toscano? Sai davvero chi è, cosa fa, con chi se la fa?”, gridò quasi ‘Zinbo.
Le immagini dello snuff movie che aveva visto a casa di Pietro & Paolo gli vorticarono nella mente, facendolo incazzare sempre più.
Rivide la ragazza che per prima era stata uccisa schizzare fuori dall’inquadratura, quasi come se fosse stata strappata via da una forza invisibile, e il sangue che le era uscito dalla testa descrivere un arco rosso, brutale e pirotecnico.
Non riusciva a capire perché fosse rimasto di fronte allo schermo fino alla seconda uccisione.
Era un fatto che lo stava mandando ai matti.
“Me l’ha presentato un mio amico. E sì, so cosa fa”, rispose Daniele.
“NO! Non sai un cazzo! Idiota! Non sai un cazzo! Non puoi nemmeno immaginare che cazzo di bestie siano lui e il suo gemello del cazzo!”, gridò ‘Zinbo.
Era furioso.
Il ragazzo aveva risposto con schiettezza, senza arroganza, ma era chiaro che avesse un’idea del tutto falsata delle persone cui si era consegnato.
“Gemello? Paolo ha un gemello?”, rispose Daniele. Il tono era a metà tra lo stupito e lo spaventato.
“Gemello non basta! È il suo doppio del cazzo!”, gridò ‘Zinbo.
“Schizzati di merda... Ora capisco un sacco di cose, merda... Senti bello, non ti incazzare. Fai quello che devi e lasciami andare, ok? Oppure fai quello che devi e portami all'ospedale”, disse Daniele con un sorriso stentato. La sua abituale pacatezza se ne stava andando a puttane, notò 'Zinbo. La voce gli tremava. In un lampo, si rese conto che al ragazzo dovevano essergli sovvenute alla mente tutte le volte in cui aveva avuto a che fare con Paolo e Pietro senza capacitarsene. Se le cose erano andate come immaginava, la sensazione di avere a che fare con una persona dissociata dovevano avere tormentato lui come sé stesso, anche se in misura minore.
“I bastardi si scambiavano l’uno con l’altro anche con lui”, pensò 'Zinbo. Vide lo sguardo che Daniele aveva e capì di avere ragione.
Daniele, invece, parve capire anche il resto.
“Niente fracca di botte, eh?”, disse questi.
‘Zinbo lo guardò e non disse nulla.
“Vediamo”, aggiunse Daniele cercando di mantenere la calma, “quanto ti ha offerto? Venticinquemila euro? Che barzelletta del cazzo... Ne spende venticinque con te e ne perde venticinque da me... Fa un danno netto di cinquantamila”.
Daniele si alzò dal divano su cui era, ma l’idea si dimostrò poco astuta: sia perché gli venne un conato di vomito sia perché a 'Zinbo venne voglia di togliersi la giacca, esibendo le due fondine e le due pistole che sempre lo accompagnavano. E così fece, con calma studiata, e, altrettanto studiatamente, riponendo la giacca sul divano che aveva di fronte.
“Ok, non me ne vado da nessuna parte, fai finta di niente, ok? Panico momentaneo... È solo un attacco di panico momentaneo del cazzo”, disse Daniele, guardando lui e guardando le due Beretta Parabellum Softair che aveva sotto le ascelle con un'aria così spaventata che gli fece pena un'altra volta.
“Sei troppo intelligente per non sapere di avere detto una cazzata. Danno netto un cazzo, e lo sai. Sai benissimo che è una questione di necessità dimostrativa”, disse ‘Zinbo.
Daniele pareva non riuscire a fotografare la situazione in cui era.
Doveva stare rendendosi conto che 'Zinbo era stato pagato per stroppiarlo o seccarlo, ma certo non poteva sapere perché non lo avesse ancora fatto. Certo non poteva sapere che la più importante di quelle ragioni era che i suoi committenti gli stavano creando dei dubbi morali ed etici. Ammazzare delle donne, così, cazzo... E, forse, delle minorenni, cazzo...
“Porca merda”, disse Daniele, che forse stava iniziando a capire che si sarebbe salvato il culo.
"Sì, bello", poco ci mancò che 'Zinbo rispondesse, "hai davanti a te un killer afflitto da questioni morali".
Ma non lo fece, soprattutto perché continuava ad essere incazzato come un gorilla incazzato.
'Zinbo pensò che, se il ragazzo fosse stato furbo come sembrava, sarebbe riuscito a girare la situazione a suo vantaggio.
Lui però non gli avrebbe dato di certo l'imbeccata. Inoltre, dal momento che era davvero molto, ma molto incazzato, pensò 'Zinbo, non gliela avrebbe certo resa facile più del necessario.
Una parola sbagliata, pensò, e lo avrebbe gambizzato.
Due e lo avrebbe accoppato lì per lì.
“Immagino che per te sia una situazione del cazzo, giusto?”, disse Daniele, come leggendogli nella mente.
“Sentiamo, in momenti come questo hanno cercato di intortarmi e corrompermi in ogni modo possibile... Vediamo tu che cazzo ti inventi”, disse ‘Zinbo, e si sedette con calma.
“Immagino che l’unico modo per evitare di farti ammazzare a tua volta sia dimostrare oltre ogni dubbio che hai ammazzato me, giusto? Bene, visto che per esibire il mio cadavere mi dovresti accoppare, ti propongo un affare. La loro vita per la mia. Te li ammazzo io tutti e due, così sarai, come si dice, libero da ogni impegno”, disse Daniele.
Lo stupore fu tale che per un attimo ‘Zinbo non seppe che cazzo dire.
Guardò Daniele negli occhi e capì che non stava affatto scherzando, ma questo non cambiava i termini della situazione.
Qualche secondo di silenzio e rispose: “TU? Vuoi ammazzarli tu, da solo? Ma che cazzo dici?”, e, per poco, non estrasse entrambe le pistole.
"Hai dei fucili di precisione? Basta che mi dici dove posso trovarli e quando, e li ammazzo tutti e due", disse Daniele leccandosi le labbra.
"Non uso fucili. Inventati qualcos'altro o ti ammazzo ora", disse 'Zinbo ed estrasse la pistola che teneva nella fondina sinistra.
- § 5
La proposta fattagli da Daniele sembrava intelligente e semplice, in realtà però troppo rischiosa.
Daniele sarebbe dovuto andare a casa dei Toscano (perché, in effetti, s’era appurato che di Toscano ce ne fossero due, anche se fingevano con la maggior parte della gente che li conosceva di essere uno), proponendo loro di pagare, quella sera stessa, metà del suo debito.
A compensazione parziale del ritardo e del mancato saldo (che, in ogni caso, non avrebbe tardato ad arrivare più di una settimana), l’ex di Daniele si sarebbe fatta incriccare, sia da Paolo, sia da Pietro.
Che Erika - così si chiamava l’ex di Daniele - fosse d’accordo, consapevole o meno, era, in realtà, irrilevante: varcata la soglia di casa Toscano, Daniele avrebbe dovuto freddarli non appena se li fosse trovati di fronte con la pistola munita di silenziatore che ‘Zinbo gli avrebbe dovuto dare, quindi tutto si sarebbe potuto risolvere prima ancora di spiegarle di averla promessa come forma di pagamento.
In effetti, poche erano le persone che venivano accolte a casa Toscano a seguito di una semplice telefonata, e, Daniele, stranamente, era uno di questi.
Avrebbe potuto funzionare, se non ci fosse stato un elemento invalidante di fondo.
Ma quello di Daniele era un errore comprensibile.
Il ragazzo non poteva sapere che Paolo & Pietro ormai avessero deciso di farlo ammazzare, e niente al fottuto mondo li avrebbe convinti del contrario.
Se anche avesse proposto loro di saldarli quella sera stessa fino all’ultimo centesimo e, come compensazione per il disturbo creato, avesse offerto le grazie di Erika per una notte, una settimana, un mese o un anno, non cambiava un cazzo.
Anzi, quasi di certo l’avrebbero seccato immediatamente e, poi, soprammercato, prima di ucciderla, avrebbero violentato Erika per un mese di fila, forse due, più probabilmente sei. Poi l'avrebbero ammazzata in qualche snuff destinato alla loro videoteca malata.
Daniele aveva preso un impegno.
Aveva ottenuto la fiducia e il credito di Paolo e, in buona sostanza, l’aveva preso per il culo.
E non per una volta, ma per un mese di fila.
D'altra parte, Daniele aveva ammesso (con sincera vergogna, bisognava dargliene atto), che la situazione gli era sfuggita del tutto di mano.
Regala agli amici, dài a gancio ai conoscenti, fai feste in cui la coca scorre a fiumi, fai contenta Erika (che, a quanto pareva, non si contentava mai), regala agli amici, dài a gancio ai conoscenti, fai feste in cui la coca scorre a fiumi, fai contenta Erika (che non si contentava mai) e così via, e ti trovi scoperto per venticinquemila euro e con un etto di coca con cui devi recuperarne quattro e i soldi relativi.
In somma, costatò ‘Zinbo, non che il ragazzo non se la fosse cercata.
Ma, oramai, la Samba era cominciata. Di fatto era cominciata nel momento in ci se l'era portato a casa, gli aveva dato modo di parlare, non l'aveva ammazzato e aveva preso atto di stare cercando un pretesto accoppare Paolo e Pietro per cui, tanto valeva andare a fondo.
E, così, ‘Zinbo, non proprio entusiasta di quanto stava facendo, dopo avere spiegato come ragionano gli uomini di vita e il concetto di malazione al ragazzo, gli aveva fatto la sua controproposta.
- § 6
“Vedrete, sarete contenti di brutto... So che le sorprese vi piacciono... E, se poi, sorpresa vuol dire fica, come vi ho detto la telefono, so che la cosa vi piacerà ancora di più”, disse ‘Zinbo.
Pietro & Paolo si avvicinarono all’auto di ‘Zinbo senza circospezione, anzi, con espressione avida e divertita.
La zona era desertica e adeguatamente buia.
Aprì il baule e invitò i fratelli verso di sé, contemporaneamente facendo cenno loro di fare silenzio.
Stunf!
Paolo (o era Pietro?) guardò la siringa metallica che terminava in un segnalatore visivo che pareva un garofano sbucare dal petto del fratello con un'espressione così incredula che a 'Zinbo venne da ridere. Ma non lo fece, anche perché a giudicare dall'espressione di Pietro (o era Paolo?), questi non sembrava averla presa niente bene. Il fratello crollò all'indietro come una torre cui fossero mancate all'improvviso le fondamenta, ma lui non disse assolutamente nulla. Con una velocità incongrua rispetto alla sua mole portò la mano destra alla schiena ed estrasse la corta rivoltella nera protagonista dei recenti incubi di ‘Zinbo.
“Daniele!”, gridò solo ‘Zinbo.
Questi uscì dalla macchina, contemporaneamente abbassandosi ed allungando la mano in cui teneva la lancia dardi.
"Bang-Crac!"
si udì quasi contemporaneamente.‘Zinbo non fece a tempo a rendersi conto che il proiettile sparato dal panzone aveva sfondato il lunotto della sua macchina che un altro dardo partì dalla pistola che Daniele teneva stranamente protesa in avanti, inclinandola verso destra.
Stunf-splatch!
“Aaarrghhh! Figli di una troia lurida pputtana succhiacazzi bastardi merdosi vi ammazzo vi stacco la testa dal collo!”, gridò Pietro dando l'impressione di avere detto una parola unica e chilometrica (o era Paolo?), e cominciò a sparare alla cieca.
Il dardo gli aveva preso l’occhio destro in pieno, facendoglielo esplodere. Il che forse spiegava perché non era svenuto subito. Ma era più probabile che fosse difettoso e non avesse fatto quello che il trafficante d'armi che gli aveva venduto prometteva, e basta. In effetti, la quantità di anestetico contenuta e la tipologia dello stesso (una tossina estratta da un pesce palla) avrebbero dovuto garantire l’addormentamento della vittima ancora prima della percezione del dolore che il dardo provocava.
Quell'incubo gridante, sanguinante ed impazzito che aveva davanti testimoniava evidentemente il contrario.
In qualche modo Daniele riuscì a mantenere la calma, mentre il panzone accecato continuava a sparare. Ad ogni colpo - ed era già al quarto - il rinculo dell’arma era così potente che il braccio del ciccione sembrava quello di un pupazzo disarticolato. Daniele prese la mira freddamente e gli sparò contro un altro dardo, questa volta mirando ai genitali. Lo colpì in pieno, facendolo cadere all’indietro.
‘Zinbo si rese conto che se fosse caduto in avanti il dardo che aveva mal confitto nell'occhio gli si sarebbe invece ben conficcato nel cervello, mandando a puttane la lezione che stava per tenere.
E, dal momento che erano due ore che se la stava preparando, gli sarebbero girati immensamente i coglioni.
- § 7
“Allora, che gli hai raccontato per convincerli? Che nel baule c’ero io morto e Erika svenuta, pronta a farsi felicemente stuprare?”, chiese Daniele con un fare che sarebbe voluto essere noncurante, ma, di fatto, con la voce che gli tremava.
“Esattamente”, rispose ‘Zinbo, “e adesso dammi una mano a portare via 'ste palle di merda... Col casino che abbiamo fatto ci avranno sentito a due isolati di distanza”.
"Non scherzi, vero?", chiese Daniele.
"No, nemmeno un po'. Magari non ho usato l'espressione 'felicemente', però, per come gliel'ho messa, credo che l'idea di fondo di Paolo fosse quella di pisciare sul tuo cadavere e violentare Erika per un paio di mesi di fila... Non so poi se volessero ammazzarla subito dopo o se avessero intenzione di tenersela come sfogaminchie per sei-sette mesi, ma ora non importa, no?", rispose 'Zinbo.
"Teneserla come cosa?!", chiese Daniele.
"Senti, io mi sto limitando a ripetere quello che Paolo mi ha detto. Vuoi darmi una mano, ora, o ti vuoi fare arrestare, fortunato cazzone che non sei altro?", disse 'Zinbo in un sibilo.
“Eh... Scusa, cazzo, scusa. Ma l'idea di Erika usata come sfogaminchie per sei mesi m'ha... Sì, insomma, mi ha schoccato un po'. Non possiamo limitarci a finire la cosa qui? Anzi, se vuoi me li faccio io ora, 'sti pezzi di letame”, disse Daniele. Era stato preda di qualche secondo di stupore attonito che a 'Zinbo dette da pensare che, forse, l'idea di Erika usata come sfogatoio lo aveva "schoccato" per motivi diversi da quelli che sembrava avere dichiarato. Magari la cosa gli avrebbe fatto piacere, e allora s'era incazzato con sé stesso. Era esattamente il tipo di pensiero che aveva lui da qualche mese per la sua donna, quindi lo capiva benissimo.
Non glielo disse, però.
“No, bello, forse non hai capito. Li dobbiamo fare sparire... E, con loro, i loro cellulari e la loro macchina”, rispose ‘Zinbo.
Fu così che, dopo averne caricato uno sul baule ed uno sul sedile posteriore della macchina di ‘Zinbo (tutti e due nel baule, almeno interi, non ci entravano proprio), si avviarono, con Daniele dietro ‘Zinbo, al volante della macchina di Pietroepppaolo.
- § 8
“Non sei obbligato a stare qui”, disse ‘Zinbo a Daniele.
“No invece, sono obbligato eccome. Quello che fai tu lo farò io”, rispose Daniele.
“Tutto? Ma proprio tutto? Ne sei sicuro?”, disse ‘Zinbo aprendo con gesto veloce e sicuro il rasoio che aveva rubato quella stessa sera.
“Bhé, proprio tutto magari no”, rispose Daniele guardando come ipnotizzato il baluginìo della lama del rasoio di ‘Zinbo. Deglutì, malgrado avesse cercato di evitare di farlo.
Daniele parve riconoscere il rasoio, ma, in ogni caso, non gli chiese niente.
“Comunque, rimarrò qui, e ti darò una mano, se serve. L’argomento è chiuso”, concluse.
Pietro & Paolo erano legati uno accanto all'altro, su due sedie.
A quello cui era esploso l’occhio era stato estratto il dardo, medicatogli quanto ne rimaneva e fasciata la testa alla belle e meglio.
“Ehi! Sacchi di merda! Sveglia! È l’ora della lezione!”, urlò ‘Zinbo mentre da dietro appioppava loro delle violente sberle sulla testa.
Il primo a svegliarsi fu il monocolo.
“Troia! Quellatroiaditumadre! Ti stacco le palle e te le fò mangiare! Sei morto! Hai capito merdoso? Sei morto!”, gridò Paolo (o era Pietro?), mostrando una vitalità che solo l’incazzatura cieca (eh!) che stava provando poteva giustificare.
Le urla del guercio fecero svegliare del tutto quello che fra i due era ancora integro. Cominciò immediatamente ad urlare più o meno gli stessi improperi del fratello. Il risultato non sarebbe stato più impressionante se prima non avessero studiato un copione di insulti, maledizioni ed epiteti da recitare assieme.
A differenza del guercio, però, quello sano si scuoteva e dimenava sulla sedia, sembrando un rospo gigante intento a battere il record mondiale di salto in alto per rospi obesi.
‘Zinbo non disse nulla. Si avvicinò e ritrasse dal salterino con un movimento tanto veloce che Daniele non capì nemmeno cosa aveva fatto.
“Piantala, o ti stacco pure l’altro”, disse ‘Zinbo, lanciandogli uno strano oggetto color carne in grembo.
“Eh?!”, disse solo Pietro (o era Paolo?).
Chinò lo sguardo, capì cosa gli era stato gettato addosso e, semplicemente, dette i numeri.
“Marremmamaialaetroia! Pietro! M’ha staccato un orecchio! Questo bastardo m’ha staccato un orecchio!”, gridò, continuando a saltare.
Le caviglie di entrambi erano legate all’indietro alle gambe anteriori della sedia, ma, malgrado ciò, il salterino sembrava seduto su una sorta di meccanismo a molla.
Daniele capì che la lama del rasoio doveva essere talmente affilata che, Paolo ‘O Porco (finalmente avevano capito chi era chi), non s’era nemmeno reso conto che ‘Zinbo gli avesse staccato un orecchio.
“Siete morti! Merdosi! Voi, le vostre madri, i vostri padri, i vostri fratelli, le vostre sorelle! Le vostre famiglie del cazzo! Siete morti tutti!”, urlò Pietro.
“Può anche darsi che sia così... Ma i primi a crepare sarete voi. Quindi piantatela di rompere i coglioni, tanto 'non mi fa nessun effetto' ”, disse ‘Zinbo. A Daniele parve di sentire le virgolette aprirsi e chiudersi. Si rese conto che il suo nuovo amico – di cui, cazzo, ora che ci pensava, non sapeva nemmeno il nome - anche se era un killer, aveva dei referenti culturali mica da ridere. Aveva appena citato Micheal Madsen in Reservoir Dogs, mentre si apprestava a torturare il poliziotto che lui stesso aveva sequestrato.
“’Zinbo! Testa di cazzo, ti fotterai con le tue stesse mani! Tutti sanno che a cazzo in bocca qua si crepa solo per mano tua!”, urlò ancora Paolo.
“’Zinbo?!”, disse Daniele, ma non aggiunse altro.
'Zinbo si voltò, lo guardò e capì che stava evidentemente pensando “’Zinbo?! Che cazzo di nome è?!” (ce l'aveva scritto in fronte), ma non si preoccupò di fornire spiegazioni di sorta.
“Cazzo in bocca...”, aveva detto, del resto, Paolo.
“Tutti sanno che se ci trovano morti a cazzo in bocca, sarà stato per mano tua”, aveva detto, in altri termini, Paolo.
"Cazzo in bocca. Cazzinbocca. ‘Zinbo: semplice, no?", concluse Daniele mentalmente, ed impallidì. Aveva capito. 'Zinbo lo guardò, come un padre orgoglioso che il figlioletto avesse compreso qualcosa di fondamentale della vita, ma non proferì parola. Si limitò a sorridergli.
“Minchia, cosa ho rischiato”, mormorò Daniele rivolgendosi più a sé stesso che a Mr. ‘Zinbo, che, a quanto pareva, non stava avendosela a male per il fatto che Daniele stesse continuando a fissarlo allibito. Anzi, gli strizzò un occhio, come se, ormai, tra loro non vi fossero più segreti.
“Brutti ciccioni di merda, sapete che vi dico? Che mi avete confermato che l’idea che ho avuto è un’ottima idea”, disse ‘Zinbo distogliendo Daniele dalla sua aria attonita.
“Ma cosa cazzo c’hai nella testa, bastardo?!”, urlò Pietro.
“Cosa cazzo ho io nella testa? Lo sapete, brutte merde, che per colpa del vostro video del cazzo non dormo più come si deve da un mese? Lo sapete che il vostro video del cazzo mi ha fatto arrapare e vomitare allo stesso tempo? Non so più se sono un pervertito del cazzo o meno!”, urlò ‘Zinbo.
Daniele parve capire, come in un lampo, perché ‘Zinbo lo stesse aiutando.
Di fatto, ragionarono assieme, non lo stava aiutando.
Stava aiutando sé stesso.
In qualche modo, i due Toscano l’avevano fatto sentire compromesso, malato e guasto.
In una parola, l’avevano fatto sentire un depravato. Almeno, più depravato di quanto non fosse. Ma era un depravato dal codice morale abbastanza rigido, quindi, cap^ Daniele, sarebbero morti con quanto più dolore 'Zinbo fosse riuscito ad infliggergli. E lui c'era in mezzo.
“Cazzo, hanno proprio scelto la persona sbagliata cui fare venire dei dubbi morali”, disse Daniele a bassa voce.
Nessuno, a parte 'Zinbo, che sorrise di nuovo con aria triste, sembrò accorgersene.
“Video? Quel video! Era... finto! Idiota, era... un cazzata che abbiamo fatto per divertirci!”, gridò di rimando Pietro, ma l'esitazione che aveva avuto era stata fin troppo eloquente.
“È un caso allora che la pistola con cui hai sparato in faccia alla tipa del video sembri la stessa con la quale per poco non ci ammazzavi, vero?”, ribatté ‘Zinbo, indicando la corta e tozza rivoltella nera che ora era a terra di fronte ai due fratelli.
“Sono trucchi! Testa di cazzo! Ci vuoi ammazzare per cosa?! Sono tutti trucchi!”, urlò Paolo. Prese un pausa e aggiunse: “Quella puttana russa mi ha spompinato ieri sera! Giuro! Ieri sera!”.
"Oltre a spacciare e a fare i magnaccia, fate pure snuff movie, eh, grassoni di merda?!", chiese Daniele, ma nessuno gli rispose.
Non ce n'era bisogno.
‘Zinbo parve dubitare, ma fu solo un attimo.
“Che sia così o meno non conta più, ormai. Non me ne frega un cazzo. Quello che conta è che i bidoni di acido che vi aspettano di là sono veri”, soggiunse piano, e, così dicendo, spianò il rasoio e si avviò verso i due fratelli.
E fu così che, con le parole che disse subito dopo, dannò Daniele per sempre.
"Tu tienili fermi, al resto penso io".
FIN.
Bene. Me lo sono scaricato e me lo leggerò nelle ferie. Con comodo, nella sdraio, dopo il rafting, con l'ouzò e l'acqua ghiacciata.
Anche se tu, a me, non me le hai augurate le buone ferie.......... :-)
Va beh. Se si modera IAS so' contento, so'.
Ach so.
Ti faccio sapere il commento a Zimbo later.
Nik56
Scritto da: Nik56 | 08/08/06 a 19:02
Ohi, scusami...
Mi sono dimenticato di te in buona fede!
Cmnq, farò pubblica ammenda...
Buone ferie anche a te, quindi!
Davide.
Scritto da: asmodave | 08/08/06 a 19:29
hhhmmm...
Questo post nasce dal senso di colpa.
Una persona mi ha inviato un'e-m in privato, in cui mi dice - in sintesi - che il testo di qui sopra le pareva "offensivo e razzista"...
Mah...
Pensavo che la distinzione tra me e quello che scrivo fosse netta, ma soprattutto, automatica...
Ricordo quel che mi disse una mia amica - a propo': ciao Elisa, se x disgrazia mi leggi ti mando un bacio - circa un mio dubbio sui contenuti dei miei testi e la mia persona: "non ti preoccupare troppo... pensa ad un King, o ad un Bret Easton Ellis"...
In sintesi, garantisco: se uso un termine che possa apparire dispregiativo verso una certa categoria di persone, non significa affatto che, verso quella categoria di persone (brutta espressione in sé per sé, tra parentesi), io abbia preclusioni...O che, in qualche modo, sia razzista verso di loro.
Credetemi, tutto sono tranne che razzista. Verso nessuna categoria, specifico.
Bye,
D.
Scritto da: asmodave | 10/08/06 a 23:10