-08/03/2006
E' un curioso otto marzo, questo.
E' da una settimana abbondante che mi porto appresso un'influenza debilitante, e oggi la bastarda deve aver raggiunto l'acme.
La febbre mi è scesa al di sotto dei 38°, ma mi è rimasto addosso un potente rimbambimento.
Sono spossato, snervato e intronato in modo così esagerato da essere comico (le mani mi tremano, mi cascano le cose, ho le gambe molli e ho le orecchie costantemente tappate).
Come che sia, sono solo, e sono obbligato a scendere per andare in farmacia a comprare degli anti-influenzali.
La farmacia più vicina è a tre isolati da me, e la mia auto, tanto per cambiare, è ferma a causa di un problema alla batteria (forse, mi ha detto un elettrauto, di un problema alla centralina).
In somma, volente o no, dovrò prendere l'autobus.
Da quando ho l'auto ho un rapporto ambivalente coi bus torinesi: da un lato, essendo un accanito lettore (di libri, fumetti e riviste scientifiche) viaggiare in pulmann non mi dispiace, perché mentre lo faccio posso leggere; d'altro lato, le problematiche connesse al viaggiare in autobus a Torino tendono a smorzare i miei entusiasmi di ecologista e lettore-pulmanofilo. Il problema più molesto è dato dagli orari assurdi che i bus torinesi tendono ad avere. Tanto per dirne una, sarà da un mese che vado a lavorare in pulmann e, in un modo o nell'altro, riesco sempre ad impiegarci non meno di un'ora e un quarto, un'ora e mezza (alle volte quasi un'ora e tre quarti). Ci sono miei colleghi che, pur vivendo a 80 chilometri da Torino, impiegano meno di me ad arrivare che ne devo fare circa 18. Il fatto è che devo prendere almeno tre linee diverse e, se per una qualunque botta di sfortuna, ne perdo una o l'altra, i ritardi s'assommano con una curva dall'andamento esponenziale.
Ma questa è n'artra storia.
Per fortuna oggi è una bellissima giornata.
Arrivo alla fermata e un soggetto stranissimo cattura la mia attenzione.
Non è la prima volta che lo vedo. Sono sempre stato fisionomista, ma questo non è l'unico fattore che me lo fa ricordare, anzi, ce ne sono almeno tre:
1) è un tossico di quelli da operetta; in sostanza, costui è uno di quei soggetti la cui fisiognomica (che è lo studio dei rapporti tra i caratteri corporei, specialmente i tratti del viso, e i caratteri psicologici degli esseri umani) è stata irrimediabilmente trasformata e compromessa dalle droghe: in somma, si è talmente struppiato che, anche se si disintossicasse, potrebbe comunque interpretare una bella operetta (appunto) nel ruolo del tossico per antonomasia e tutti ci crederebbero alla perfezione;
2) c'è uno strano contrasto tra il modo in cui appare (zigomi così sporgenti da essere affilati, naso ingigantito dal dimagrimento esasperato della faccia, colore olivastro), congiuntamente al modo in cui si è agghindato (capelli a zero sopra le orecchie, con una lunga coda ricciuta imbevuta di brillantina, giubbotto di piuma nero senza maniche, jeans stirati da mamma' con la riga da pantalone classico e Nike all'ultimo grido) e la voce stridula e da ragazzino che si ritrova;
3) tutte le volte che l'ho incontrato (questa dev'essere almeno la terza) l'ho visto sempre agitatissimo (e, forse, mi sono detto oggi, i motivi di questa sua agitazione sono meno ovvii di quanto di primo acchito io stesso possa aver pensato).
Sto leggendo un libro anomalo e bello di Vonnegut (autore cui debbo l'ispirazione del nome del protagonista di "A Little Story of Baquo"), "La Colazione dei Campioni", e, poco prima di arrivare alla fermata, stavo pensando al fatto che l'estraniazione che il protagonista di detto libro prova non deve essere, in fondo, un fenomeno così raro e impossibile.
Anzi.
Nel libro, l'estraniazione di cui dicevo porterà Dwayne Hoover, un rivenditore di automobili Pontiac, ossessionato dagli scritti di un altro uomo, Kilgore Trout, a convincersi, a seguito della lettura di un romanzo di Trout che rivela che la Terra è abitata esclusivamente da robot, all'impazzimento totale. Su questa Terra agisce un unico uomo in carne e ossa, una cavia di cui Dio studia le reazioni per capire quale altro tipo di mondo e di razza si potrebbe creare al posto di quelli attualmente esistenti. Naturalmente, quest'unico uomo si convince di essere lui, Dwayne Hoover.
Il soggetto da operetta di cui dicevo poco fa va avanti e indietro, avanti e indietro, fino a che non arriva un suo conoscente che lo stoppa come un portiere fermerebbe un rigore ben tirato.
"Hey, che c'è? Dove stai andando così di fretta?", gli chiede.
"Veramente sto aspettando il pulmann... Sarà più di venti minuti che lo aspettiamo", dice ammiccando verso di me, "vero?".
Chissà per quale strano motivo mi ha assunto come testimone. In verità devo essere alla fermata da non più di tre minuti e così, per non sbugiardarlo, non rispondo nulla. Dopo mi è venuto da pensare che se il tizio mi ha tirato in ballo è perché doveva essere in preda al panico. In considerazione del modo in cui l'altro l'ha fermato, ho pensato, quasi di certo in mezzo c'era una questione di soldi prestati e non restituiti.
Ecco, dicevo: la gente svalvola, e non si tratta per nulla di un fenomeno raro. Arrivare a ritenere accettabile l'aiuto di uno sconosciuto ad una fermata di bus per evitarti problemi – magari una fracca di mazzate – è un perfetto esempio di quanto ci si possa bruciare il cervello.
[Ah, una piccola parentesi: l'essere umano è l'unico primate che abbia sviluppato quello stato mentale che può dirsi follia.]
Il tossicomane di cui sto raccontando deve avere svalvolato tempo addietro, in realtà: quelle di adesso sono solo manifestazioni terminali del suo impazzimento. Ho pensato che, se mi ha citato come teste, era sì perché in quel momento probabilmente avrebbe voluto trovarsi dappertutto tranne che lì, ma soprattutto perché la sua vita deve essere un specie di recita continua.
A proposito di tossici, svalvolamento e compagnia bella (un'altra piccola parentesi): rammento che una volta vidi una donna tossicomane così tanto derelitta e folle da fare più ribrezzo che pena. Cantava una strana canzone inventata da lei, che, più o meno, faceva così: "Cinque palline da bucare/non mi serve nient'altro che quello: cinque palline da bucare/e un uomo da amare" (le "palline" sarebbero gli ovuli termo-saldati in cui viene spacciata la droga). Non ci sarebbe stato un granché di grave, se non fosse stato che, mentre cantava quella simpatica canzoncina, era accoccolata a terra con in mano un fazzoletto di carta con cui tentava di pulire l'asfalto. Il particolare più drammatico e ributtante di tutti era il seguente: ogni tanto umettava con la lingua il fazzoletto in questione. Ricordo che mi ero posto una domanda che forse nessun altro si sarebbe posto: come sceglieva i tratti di asfalto cui dedicarsi? Come riusciva a capire quali tratti di asfalto fossero più sporchi degli altri e meritevoli quindi delle sue attenzioni? Forse la trasportava l'estro del momento, e, essendo l'attività cui era dedita del tutto scriteriata, non c'era, appunto, alcun criterio in quello che faceva.
Ma torniamo alla follia, o, meglio, torniamo a raccontare di quelle manifestazioni di follia cui io mi sono imbattuto nella nemmeno mezza ora che ho trascorso fuori casa.
Mi avvicina quello che mi pare essere un mio coetaneo (dico questo perché mi ha stupito che, quando mi ha rivolto la parola, mi abbia dato del lei), e mi chiede: "Scusi, sa se le linee che passano di qui mi portano al Maria Vittoria?"
Sta fumando, e pure lui sembra essere parecchio agitato."No", gli rispondo "però può prendere una qualsiasi delle linee che passano da qua, scendere in Corso Regina e da lì prendere il 16, che la porterà esattamente davanti al Maria Vittoria".
La risposta non sembra soddisfarlo, e, infatti mi dice: "Eppure mi sembra di ricordare che il tram che passa da qui porti direttamente al Maria Vittoria".
Guardo a terra, e, in effetti, davanti a noi, a venti centimetri dal marciapiede, ci sono delle vestigia di binario semi-assorbite dall'asfalto, le quali dovrebbero fare dedurre che, se mai un tranvai è passato da qui, ormai devono essere anni che ciò non accade più. E, così, non avendo ancora capito che ho a che fare con un altro – massì, chiamiamoli così - svalvoloide, non do' alla cosa alcun peso, e, garbatamente, gli rispondo: "No, forse non lo sa, ma da qui il tram non passa più da anni".
Svalvo non mi dà risposta alcuna (a posteriori ho capito perché: è tipico di una certa categoria di picchiatelli prendere in considerazione solo un certo tipo di stimoli, e, nella fattispecie, quelli che si attagliano all'interpretazione che alla realtà il picchiatello vuol dare in un certo momento).
Poco dopo, dall'altra parte della strada, passa un altro autobus, che per inciso, col Maria Vittoria ci incocchia meno di zero, e il tipo, con una scarica di tremiti alle labbra, dice: "Ah! Il 63! Lo sto perdendo! Non va dalle parti del Maria Vittoria pure quello?".
Qui ho capito che c'era qualcosa che non andava.
Il poveraccio doveva avere una fretta cosmica di arrivare al Maria Vittoria, e, in quel momento, stare fermo ad aspettare doveva parergli una qualche forma di atroce delitto. Un altro particolare, ho notato sempre a posteriori, era indice del suo stato mentale: accendeva una sigaretta dietro l'altra, senza nemmeno arrivare a consumare del tutto quella con cui accendeva la successiva. Per fortuna era uno di quei pazzi innocui, e non se l'è presa con me. In ogni caso gli ho spiegato che il 63 non gli sarebbe servito a nulla, e gli ho ripetuto che avrebbe dovuto prendere lo stesso bus che stavo per prendere io, scendere in Corso Regina e da lì proseguire col 16.
Ah, en passant: malgrado il tossico da operetta sembrasse avere una gran fretta di prendere il pulmann alla fermata cui ero anche io, mentre davo corda allo smarrito se ne era nel frattempo andato. Anzi, s'era dileguato. C'è stato del comico nel modo in cui lo stopper ha chiesto al tossico di aspettarlo mentre entrava in tabaccheria e questi si è dato: il primo non aveva nemmeno varcato la soglia del negozio che il secondo già stava prendendo il volo guardandosi attorno con un'aria in bilico tra lo scaltro, il circospetto e lo spaventato.
Ma tant'è.
Salgo sul bus, e riprendo a leggere il libro di Vonnegut.
È davvero bello, ripeto, ma a tratti fa paura. Uno dei protagonisti del libro è lo stesso Vonnegut, che interagisce con gli altri personaggi nel ruolo di loro creatore a taumaturgo, e fa paura (o, almeno, a me ne ha fatta), perché in più punti non hai affatto chiaro se abbia o no sbarellato o si sia semplicemente divertito a scrivere si sé stesso che sbarellava.
La follia, dicevo, oggi, chissà perché, è uno di quei giorni in cui la follia si fa sentire di più che in altri. Il tizio che mi ha chiesto come raggiungere il Maria Vittoria mi guarda con insistenza, e io devo fare un notevole sforzo di concentrazione per ignorarlo e concentrarmi sul mio libro. Dopo un po' si decide a ignorarmi pure lui. Non solo, in verità: ignora pure quanto gli ho spiegato per raggiungere l'ospedale Maria Vittoria e scende dal bus.
Proprio alla fermata in cui è sceso il tizio dell'ospedale è salito un vecchietto strambo e dolcissimo. E anche lui un filo matto, in verità. Il nonnino doveva spostarsi con un deambulatore, e sembrava stanchissimo, tant'è che, poveretto, più che parlare sembrava miagolasse. Non è stato ciò ovviamente a farmelo sembrare strano, ma il fatto che, una volta sedutosi, appoggiasse la testa sulla mano del passeggero dietro di sè non solo come se fosse stanco, ma come se avesse bisogno di conforto. E ha fatto ciò non una, ma tre o quattro volte. Un altro particolare mi ha colpito: guardava la persona cui si appoggiava con uno sguardo pieno di asserzione, e come se implorasse aiuto.
Forse però questa non è follia, è solo disperazione.
Essendo questa la sintesi di una sortita in un pulmann in un giorno qualunque, mi sono chiesto: ma che sarebbe accaduto mai, se, per ipotesi, avessi dovuto prendere il treno?
Fin.
Vecchio grafomane logorroico e' sempre un piacere leggerti... lo vedi che ti avevo bookmarcato (aaarrgggh che brutta sta' parola) sul serio?!? 8-)
Vai che quando le maree della zuppa di cervello mi si calmano, torno a riagitarmele un po' qui da te.
Il vecchio prozio Aplhio
Scritto da: Alphio | 30/03/06 a 03:29
Lo_zio! (o dovrei direi "pro_zio"?)
Come abbutta?
L'ho detto, mi fa un gran piacere essere tra i "preferiti" di qualcuno!
Eppoi sì, lo devo ammettere, se hai bisogno di agitarti il mio blogghino è l'ideale!
Ma non serve solo a quello, in realtà... Se vuoi farti 4 risate leggiti "Il Ricordante", che pare faccia ridere (sempre che tu non l'abbia già letto)...
Cmnq, cambiando discorso, sai che io e Gio' ci dovremmo vedere non questa domenica ma quella ancora dopo?
Se x sbaglio fossi da 'ste parti, facci sapere, che 3 è il numero perfetto!
Bye,
D.
Scritto da: asmodave | 30/03/06 a 10:14